Da quel "maledetto" 23 maggio del '92 non ha smesso nemmeno per un attimo di chiedere verità e giustizia per la morte del fratello, Giovanni Falcone, della cognata, Francesca Morvillo, e dei tre agenti di scorta fatti saltare in aria con 500 chili di tritolo piazzati sotto un cunicolo dell'autostrada che collega l'aeroporto di Punta Raisi con Palermo. E adesso che è morto il principale responsabile di quello spaventoso attentato, lo stratega del terrore che sfidò lo Stato, teme che insieme a Totò Riina vengano seppelliti anche i tanti interrogativi rimasti ancora senza risposta dopo oltre 25 anni. Maria Falcone, sorella del magistrato trucidato a Capaci, ha appreso all'alba la notizia della morte del boss avvenuta nell'ospedale di Parma. E la commenta telefonicamente all'ANSA con parole misurate e dure allo stesso tempo. "Non gioisco per la sua morte - spiega -, ma non posso perdonarlo. Come mi insegna la mia religione avrei potuto concedergli il perdono se si fosse pentito, ma da lui nessun segno di redenzione è mai arrivato. Per lui questo sarà il momento più difficile perché dovrà presentarsi davanti al tribunale di Dio a rendere conto del sangue e delle lacrime che ha fatto versare a degli innocenti".
Ma la sorella di Giovanni Falcone non riesce tuttavia a nascondere la sua delusione per il "silenzio" tenuto fino all'ultimo da Riina. "Resta il forte rimpianto - ammette - che in vita non ci abbia svelato nulla della stagione delle stragi e dei tanti misteri che sono legati a lui. Per quello che è stato il suo percorso mi pare evidente che non abbia mai mostrato segni di pentimento". E a questo proposito ricorda le recenti intercettazioni in cui il capomafia, conversando con un compagno di detenzione, gioiva della morte del magistrato ricordando di avergli fatto fare "la fine del tonno".
La professoressa, come la chiamano migliaia di studenti con i quali in questi anni si è incontrata a Palermo per le manifestazioni del 23 maggio promosse dalla Fondazione Falcone, e nelle scuole di tutto il mondo, ribadisce infine la "lezione" di legalità lasciato dal fratello Giovanni. "Il nostro sistema giudiziario - sottolinea - garantisce e protegge la dignità dell'uomo. Lo ha fatto anche con Riina fino alla fine, anche attraverso la decisione del ministro della Giustizia di consentire ai familiari di incontrarlo nei suoi ultimi istanti di vita".
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