Liliana Segre a 88 anni ha una voce chiara, netta, pacata: risponde alle domande senza alcuna esitazione come se fosse abituata da sempre al ciclone mediatico che l'ha appena investita dopo essere stata nominata senatrice a vita dal presidente Sergio Mattarella per "aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale". "Non posso darmi altra importanza - dice all'ANSA dalla sua casa di Milano - che quella di essere un araldo, una persona che racconta ciò di cui è stata testimone". La notte della ragione, l'abisso dell'Olocausto, l'orrore dei campi di concentramento. Risponde al numero di casa, il cellulare è oramai subissato di chiamate. E subito non nasconde che la scelta del Quirinale "è stato un fulmine a ciel sereno" del tutto inatteso. "Io - spiega - mi sento una donna qualunque, una nonna. Non ho mai pensato a tutto questo". Per lei sapere di essere, unica donna, tra i senatori a vita "è un onore maggiore e una grande responsabilità". E la voce sembra calcare questa ultima parola con un timbro diverso dalle altre. "Io c'ero e sono una testimone della Shoah. Questo - aggiunge senza pause - è stato il mio compito da 25 anni. Incontrare gli studenti e i loro professori è importante. Davanti a loro sono come un araldo che va nelle pubbliche piazze per narrare la storia, i fatti. Primo, perché è un dovere nei confronti di quelli meno fortunati di me che non ce l'hanno fatta e non sono tornati. E poi per testimoniare attraverso la memoria contro la deriva, l'abbandono e il negazionismo di oggi". "Io - dice ancora - non sono nulla di diverso da questo: quella persona sono io". Liliana Segre, per sua stessa ammissione, proviene da una famiglia "non religiosa, anzi - precisa - completamente atea".
Sui Segre e su Liliana, allora di 8 anni, nel 1938 si abbatté la violenza vergognosa delle Leggi razziste. "Lì, come ho raccontato al presidente Mattarella, ho avuto coscienza di essere secondo gli altri diversa, di non poter più andare a scuola, di essere messa al bando. Quando sono stata espulsa dalla mia classe - aggiunge - ho avuto coscienza ed ho cominciato a chiedere a chi mi stava intorno tanti 'perché'.
Domande, tutte angoscianti, alle quali neanche oggi che sono una vecchia signora sono riuscita a dare una risposta". "Non c'è stato un riavvicinamento all'ebraismo con la Shoah.
Non c'era bisogno, perché - dice ancora - essere ebrei è un modo di essere. Io - sottolinea con forza - sono quella".
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