Due partite separate, una sulle Camere, l'altra sul governo. Due partite che Luigi Di Maio è pronto a giocare con interlocutori diversi, come Lega e Pd, nel giorno in cui dai Dem giunge una prima apertura ad un governo di scopo. All'inizio della settimana cruciale per le presidenze di Camera e Senato è questa la strategia tracciata dal M5S e dal suo leader che, nelle prossime ore, si appresta a stringere innanzitutto sull'accordo per la seconda e terza carica dello Stato. E, su questo campo, è Matteo Salvini il principale interlocutore del M5S.
Di Maio e il leader della Lega, prima della riapertura del Senato, venerdì, si sentiranno e potrebbero vedersi. E il vertice tra Di Maio e Salvini s'incrocia con il colloquio che quest'ultimo avrà, mercoledì, con Silvio Berlusconi. Sarà quindi a metà settimana che si comincerà a parlare, in maniera chiara, di nomi. Ma qualche dato già emerge. Innanzitutto resta il "no" del M5S a candidati alle presidenze delle Camere condannati o sotto processo. Un "no" che inevitabilmente per Palazzo Madama coinvolge il capogruppo di FI Paolo Romani. Difficile, inoltre, che il gruppo di senatori del M5S dia il suo sì a Roberto Calderoli (che non sembra essere tra le prime carte neppure di Salvini). E se si pensa che il M5S insiste sulla guida della Camera il nome in pole, al Senato, sembra essere della senatrice leghista Giulia Buongiorno. Un accordo in tal senso sbloccherebbe, come in un cubo di Rubik, anche l'intesa per Montecitorio dove, tra i pentastellati, il nome più quotato resta quello di Riccardo Fraccaro.
"Siamo il perno della legislatura, siamo decisivi", afferma Di Maio riunendo per la prima volta i 112 senatori del Movimento e ribadendo come, da parte sua, ci sia "la disponibilità al dialogo con tutti" ma anche la volontà che, chi sarà eletto ai vertici delle Camere debba "concorrere al cambiamento, a partire dall'abolizione dei vitalizi". "Non c'è una spartizione di poltrone, il nostro compito è di sostenere le persone più credibili", è la replica che arriva dal portavoce del Pd Matteo Richetti. Richetti che apre ad un "esecutivo di scopo su pochi punti", allargando la faglia nei Dem tra i potenziali responsabili e chi, come i renziani, non vuole abdicare da un ruolo di opposizione.
Un'altra apertura è arrivata dal capogruppo uscente Pd Ettore Rosato, che definisce "utile", anche per un eventuale alleanza di governo, la via intrapresa dall'Spd in Germania: il referendum tra gli iscritti. Fibrillazioni che, in alcun modo, vanno legate al Colle: il Quirinale fa sapere infatti che Mattarella non cerca la sponda di partiti o correnti. Ma i sommovimenti nel Pd sono visti con particolare attenzione dal M5S. Di Maio non ha ancora eliminato dalla rosa delle soluzioni quella di un governo con l'appoggio esterno con il Pd. "La nostra forza è adattarci e migliorarci", spiega, non a caso, ai senatori, citando l'intervista in cui Beppe Grillo, a La Repubblica, apre di fatto a un governo di condivisione sui temi. L'asse con la Lega resta invece meno percorribile, sia per gli equilibri interni al centrodestra sia per la prevedibile protesta di parte dei gruppi M5S, più vicini, almeno culturalmente, al mondo della sinistra. Di Maio ha ribadito la sua apertura sulla rosa di governo. "Dei ministri si parla con Mattarella, dei temi invece si parla con i partiti", spiega, facendo capire come la squadra di governo presentata prima del voto sia "sacrificabile" nel dibattito futuro per l'Esecutivo, "slegato" - sottolinea Di Maio - dalla partita per le presidenze delle Camere. Una partita che difficilmente potrebbe finire con Salvini a capo del Senato e Di Maio alla guida della Camera: al momento delle elezioni per le presidenze il tavolo dei giochi per il governo saranno sarà tutt'altro che concluso. Ed è un tavolo al quale sia Di Maio che Salvini vogliono sedersi da protagonisti.