Sono arrivati al palazzo di giustizia di Palermo gli atti dell'inchiesta sul ministro dell'Interno Matteo Salvini e sul capo di Gabinetto del Viminale Matteo Piantedosi, indagati per l'illecito trattenimento dei profughi soccorsi il 16 agosto dalla nave Diciotti nel Canale di Sicilia. Il fascicolo, portato da un militare della Guardia Costiera alla segreteria del procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, è stato trasmesso, insieme a una memoria, dai magistrati di Agrigento che, sabato scorso, hanno iscritto il leader della Lega e il funzionario del ministero per i reati di sequestro di persona, sequestro di persona a scopo di coazione, arresto illegale, abuso d'ufficio e omissione di atti d'ufficio. "Cinquanta pagine di accuse nei miei confronti, 5 reati contestati, 30 anni di carcere come pena massima. Di politici ladri, incapaci e codardi l'Italia ne ha avuti abbastanza. Contate su di me, io conto su di voi", ha scritto su Twitter Salvini, appena battuta la notizia. "Voi pensate che io abbia paura e mi fermi? Mai", aggiunge su Facebook. "So che in Italia ci sono tanti giudici liberi, onesti e imparziali, per me 'prima gli Italiani' significa difendere sicurezza e confini, anche mettendosi in gioco personalmente". Il caso, dunque, passa ora alla Procura di Palermo che potrebbe confermare o modificare le contestazioni ipotizzate a carico dei due indagati prima di trasmettere tutto al tribunale di ministri del capoluogo. Il procedimento, per il coinvolgimento di un esponente del Governo, è disciplinato dalla legge costituzionale 1 del 1989 che prevede che i pm hanno 15 giorni di tempo per fare le loro valutazioni sul caso: la Procura in questa fase è tutt'altro che un mero tramite tra i pm che hanno aperto l'inchiesta e il tribunale dei ministri. Gli inquirenti palermitani, infatti, potrebbero condividere l'impianto dei colleghi di Agrigento e chiedere al tribunale dei ministri di investire della vicenda il Senato perché dia l'autorizzazione a procedere per Salvini; o al contrario chiedere l'archiviazione. Ma c'è una terza ipotesi: potrebbero invitare i giudici ad approfondire alcune questioni come, ad esempio, quella della competenza territoriale a indagare. Infatti, oltre a sollecitare gli interrogatori degli indagati o l'acquisizione delle testimonianze - presso la Guardia Costiera e gli altri soggetti coinvolti - i pm potrebbero chiedere di accertare in quali acque si trovasse la Diciotti quando è arrivato l'ordine di non fare sbarcare i profughi. Se si dovesse scoprire che l'imbarcazione era nel mare di Catania e non di Lampedusa quando Piantedosi chiamò la Guardia Costiera, la palla potrebbe passare ai pm etnei e poi al tribunale dei ministri di Catania.