E' solo il primo tempo di un braccio di ferro che promette di andare avanti nelle prossime settimane, nella scrittura della manovra e anche in Parlamento. La Lega rivendica di aver rotto il muro "del nero" innalzato da Luigi Di Maio sulla pace fiscale: "Ha ceduto". Il M5s agita la stretta del carcere per gli evasori come un totem immolato sull'altare del centrodestra: "Abbiamo annacquato di brutto, nella pace fiscale, la dichiarazione integrativa voluta dalla Lega con tanti vincoli che pochissimi la useranno". Ma è il rapporto tra i due soci di governo a uscire ammaccato dalla lunga notte della manovra. La tensione d'un colpo porta allo scoperto distanze, note ma taciute, su dossier come Tap e Rai. Per la prima volta anche Di Maio e Matteo Salvini fanno fatica a trovare l'intesa.
E' così una cornice, che andrà riempita di dettagli e norme, quella che in serata arriva sul tavolo del Consiglio dei ministri. Una prima messa a punto, spiegano i più prudenti. Con tempi che permettono al premier Giuseppe Conte di andare mercoledì in Ue a cercare di convincere leader europei e vertici delle istituzioni della bontà della legge di bilancio italiana.
L'accordo definitivo arriverà sul testo, spiegano fonti leghiste: abbiamo evitato che la scure delle pensioni d'oro calasse per decreto, ma se il M5s insiste nell'ampliare troppo la platea e l'entità del taglio, si ridiscute tutto. Dopo settimane di trattative, i nodi su decreto fiscale e legge di bilancio vengono al pettine nel vertice convocato da Giuseppe Conte domenica notte a Palazzo Chigi. Al tavolo c'è mezzo governo, incluso il ministro Giovanni Tria, i cui rapporti con i Cinque stelle sono ancora più incrinati dopo la vicenda Alitalia, tanto da aver dato già il via a rumors su un rimpasto di governo a gennaio. Ma sulle polemiche viene messa la sordina: la Lega ha chiesto all'alleato di abbassare i toni sul ministro, perché a fine ottobre arriveranno i temuti giudizi delle agenzie di rating, non è il momento di mostrare ulteriormente il fianco.
Nelle ore decisive, però, Conte e Tria sono arbitri di un muro contro muro tra alleati che solo i due vicepremier riescono a sbloccare. No alla pace fiscale per gli evasori, dice M5s; no al taglio delle pensioni d'oro per decreto, ribatte la Lega. Di ritorno da Milano, intorno alla mezzanotte di domenica, Di Maio vede alcuni fedelissimi nell'ufficio del ministro Fraccaro e lì cala il velo: non si punta più il dito solo contro tecnici del Mef e della Ragioneria, ma anche contro l'alleato, reo di voler far passare un condono "vecchio stile". I gruppi M5s così non reggono, si rischia la crisi: è il messaggio alla Lega.
La situazione è talmente grave, che lunedì mattina viene fatta pervenire la richiesta a Salvini, che ha impegni a Milano, di anticipare il rientro a Roma per un vertice di governo. Lui risponde di sì, ma con calma: fino al pomeriggio, fa sapere, farà le sue veci Giancarlo Giorgetti. A Di Maio non basta: il leader pentastellato diserta platealmente la riunione e si chiude nel suo ufficio di Palazzo Chigi. Tra i due leader non si segnalano contatti diretti: solo alle 16.30 si ritrovano faccia a faccia nell'ufficio di Conte. Parte la vera trattativa. Conte e Di Maio forzano sui tempi del varo ufficiale della manovra, che la Lega vorrebbe con più calma: si farà tutto in serata. Ma Salvini porta a casa l'assicurazione che "quota 100" partirà a gennaio e che la pace fiscale riguarderà anche dichiarazioni integrative ("il nero") fino 100 mila nero. Sulle misure di semplificazione che Di Maio vorrebbe inserire nel decreto fiscale si raggiunge un compromesso: andranno in un secondo decreto, per non appesantire il percorso della pace fiscale.
La partita proseguirà, ammettono da entrambe le parti. Sulla manovra come sulla Rai: il braccio di ferro in atto sul Tg1 e la direzione di Rai1 fa slittare le nomine, probabilmente alla prossima settimana.
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