La scomparsa di Franco Battiato, poliedrico intellettuale della canzone italiana, lascia irrisolto l'interrogativo politico che ha accompagnato la sua intera carriera: è di destra o di sinistra? Una domanda che il diretto interessato si è sempre lasciato scivolare addosso con superiore noncuranza, sentendosi "alto" rispetto alla politica dei palazzi popolati dai tanti governanti "perfetti e inutili buffoni". Un personaggio unico nella storia musicale italiana e non solo per la sua capacità di frullare insieme stili, citazioni, atmosfere e generi, tanto da consentire all'intero arco costituzionale di riconoscersi almeno un po' nei suoi testi, provocatori e ironici.
Per cinquant'anni sul palco, nei primi anni '70 canta (e lo fischiano) ai raduni pop di Re Nudo, i cosiddetti 'festival del proletariato giovanile' dove si intrecciano le tensioni libertarie con quelle politiche, hippies e Lotta Continua. Ma è ne "L'era del cinghiale bianco" e nel pop orecchiabile e raffinato di "Patriots" che gli ambienti giovanili della destra e del Fronte della Gioventù ritrovano negli anni '80 temi e riferimenti a loro familiari. "Up Patriots to arms" (con il verso pasoliniano: "Le barricate in piazza le fai per conto della borghesia. Che crea falsi miti di progresso") e "Radio Varsavia" vengono percepite dai critici musicali dell'epoca come la cultura della nuova destra. Per molti, fatte le debite differenze, l'opera di Battiato ha avuto lo stesso effetto di "attrazione/interpretazione" politica che ebbe quella di Lucio Battisti negli anni '60-'70.
Ma il siciliano, nato sul finire della seconda guerra mondiale, è più refrattario alle etichette. "Centro di gravità permanente" è stato per anni colonna sonora del Meeting di Rimini; la spirituale e commovente "E ti vengo a cercare" è stata eseguita davanti a papa Giovanni Paolo II e diecimila giovani che sventolavano ramoscelli d'ulivo e poi il concerto del dicembre 1992, al Teatro Nazionale di Baghdad, a sostegno della popolazione irachena ancora piegata dalla prima guerra del Golfo.
Nel giorno della sua scomparsa, Emma Bonino ha ricordato come Battiato abbia "sempre sostenuto la politica radicale", rimpiangendo "le ore passate a parlare" con lui e Marco Pannella. Molti suoi interventi erano affini a quelli grillini, e in passato il "maestro" non ha nascosto quanto preferisse "questi giovani di Grillo, animati da una profonda onestà e da una volontà chiara di fare pulizia" ad una classe politica "nella quale si contano circa 150 indagati e gente che ha fatto porcherie immonde…". Ma altrettante volte ha criticato Beppe Grillo, in particolare nella parentesi di cinque mesi da assessore al Turismo della giunta regionale siciliana di centrosinistra guidata da Rosario Crocetta.
"Assessore fantasma", lo ribattezzarono per le assenze, in un'esperienza rapidamente conclusa anche per qualche affermazione stonata. Come il 26 marzo 2013, quando in un intervento al Parlamento europeo disse, riferendosi alla politica italiana: "Queste troie che si trovano in Parlamento farebbero qualsiasi cosa. È una cosa inaccettabile" e sarebbe meglio che "aprissero un casino". Insorsero in molti, inclusi gli allora presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Piero Grasso. E Battiato fece una mezza retromarcia, spiegando che si riferiva "a passate stagioni parlamentari che ogni italiano di buon senso vuole dimenticare", "caratterizzate da malaffare politico, dal disprezzo per le donne e per il bene pubblico".
"Franco BATTIATO, grande Artista ma piccolo Uomo", scrisse Matteo Salvini, in un tweet che oggi alcuni gli rinfacciano sui social, dove il leader leghista ha reso omaggio al cantautore nel giorno della sua morte, citando un verso del suo brano più celebre, 'La cura', e dedicando "una preghiera, un ricordo e una canzone per il grande Maestro".
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