Inciampa sulla guerra in Ucraina - ma è solo la punta dell'iceberg - e poi rischia di sfasciarsi in un Consiglio nazionale notturno, l'amore politico tra Movimento Cinque Stelle e Luigi Di Maio. Un'avventura lunga quasi 15 anni, ma per il giovane parlamentare campano, pur sempre al secondo mandato, sembrano tanti di più: tra campagne elettorali vincenti, feroci sconfitte, una scalata ministeriale di tutto rispetto e faide interne.
A segnarla sono stati anche i rapporti con Beppe Grillo spesso sull'ottovolante. E la sintonia a metà con Giuseppe Conte: prima benedetto come l'avvocato del popolo che conquista Palazzo Chigi e ora acerrimo rivale, bastonato apertamente dopo l'ultimo ko elettorale ('Alle elezioni amministrative non siamo andati mai così male') e contestato per l'atteggiamento ribelle ('Non si può attaccare il governo un giorno sì e uno no'). Fino alla resa dei conti che odora di espulsione per il ministro degli Esteri classe 1986. E che rischia di lasciare sul campo solo Roberto Fico, in memoria dei 'tre moschettieri' della prima ora grillina come erano chiamati Di Maio, Alessandro Di Battista e appunto il presidente della Camera.
Un epilogo che per Di Maio arriva a due anni dalle dimissioni come capo politico del M5s. Era il 22 gennaio 2020. Allora chiuse la porta in faccia ai tanti detrattori, quelli che dalle retrovie lo avevano 'pugnalato alle spalle'. Così disse. 'I peggiori nemici sono quelli che lavorano al nostro interno, ma per la loro visibilità', aggiunse.
Cronaca di una storia personale e politica nata in Campania.
Di Maio nel 2007 è all'apertura del primo meetup M5s nella sua città, Pomigliano D'Arco. Ma i primi passi non sono fortunati.
Quando si candida come consigliere comunale nel 2010, incassa 59 voti. L'ostinazione però non gli manca, da semisconosciuto vince le parlamentarie che, nell'anno magico del Movimento, lo portano a Montecitorio. Di Maio parte in sordina, ma la sua elezione a vicepresidente della Camera - il più giovane della storia, a 26 anni - gli vale un passaggio in ascensore verso nell'Olimpo del M5s. È il 21 marzo 2013, l'inizio dell'ascesa. È lui, come lo definisce Grillo, il 'politico' del Movimento.
La faccia pulita di Di Maio, di fronte al barricadero Di Battista e al più francescano Fico, funziona e insieme i tre catturano preferenze a destra e a sinistra. Fino alle vittorie a Torino e Roma delle due pentastellate che saranno sindache.
Proprio la Capitale, e le vicende di Virginia Raggi, fanno piombare Di Maio al centro di aspre critiche interne. È la fine del 2016 e c'è la prima vera spaccatura. Ma lui ne esce indenne e dopo un anno viene promosso a capo politico, con voto bulgaro sulla piattaforma Rousseau.
Di lì in poi arrivano i trionfi: l'elezione del 4 marzo 2018, il governo con la Lega e il passo indietro dalla premiership che ne permette la formazione. Giura da vicepremier e ministro dello Sviluppo e del Lavoro. Ma l'abbraccio con Matteo Salvini è mortale. Dopo la caduta del governo Conte 1, inizia a saldarsi l'intesa con il Pd. Segue il fuoco amico, il gelo di Grillo e il passo indietro dalla leadership del Movimento. Ma la rinascita istituzionale è dietro l'angolo e coincide con l'approdo alla Farnesina nel 2019 sotto il Conte bis e con poi la conferma due anni dopo quando a palazzo Chigi arriva Mario Draghi.
Al ministero degli Esteri è uno che studia, si circonda di collaboratori capaci e si conquista il rispetto dei diplomatici.
Ma nel Movimento le cose non migliorano, tanto meno quando arriva Conte. Anzi. Fino alla resa dei conti che sembra inevitabile.
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