Nei giorni che attendono il mercoledì che deciderà definitivamente il futuro del Governo, 1000 sindaci scendono in campo per provare a trattenere Mario Draghi sulla poltrona di Palazzo Chigi, scatenando di contro il risentimento di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia e del "partito del voto".
L'appello ad andare avanti, nato sabato tramite una lettera aperta al presidente del Consiglio su iniziativa del sindaco di Firenze Dario Nardella, è presto diventato il caso che ha acceso le rimostranze della destra d'opposizione che ha accusato, per voce di Meloni, i primi cittadini promotori di mancanza di regole e di "usare le istituzioni senza pudore come se fossero sezioni di partito". Il solco è tracciato: da un lato chi considera l'iniziativa l'espressione di una libera scelta dei sindaci, per salvaguardare la stabilità in un momento di forte difficoltà e l'attuazione del Pnrr - come il dem Andrea Marcucci che accusa la leader di Fratelli d'Italia di "analfabetismo istituzionale", tirandosi addosso valanghe di dichiarazioni da parte dei parlamentari di Fdi -, dall'altro chi ritiene inaccettabile parlare a nome dei cittadini per schierarsi apertamente in favore della continuità del Governo.
Meno esposto l'asse Forza Italia - Lega, che non esprime una posizione ufficiale sulla questione, ma si limita a far registrare le voci dei singoli amministratori. Come il sindaco di Udine, il leghista Pietro Fontanini, che dice all'Ansa di "non aver firmato, perché si tratta di un'iniziativa dei sindaci di sinistra o di liste civiche e non fa parte del mio campo politico". A dire il vero non sono pochi nel centrodestra i sindaci che condividono l'appello per la permanenza dell'ex capo della Banca centrale europea alla guida del Consiglio dei ministri, come sottolinea lo stesso Nardella: "Mi dispiace che Meloni non noti che tra i firmatari ci siano moltissimi esponenti di centrodestra".
Si parte dagli amministratori di importanti capoluoghi come Marco Bucci, primo cittadino di Genova o a Venezia Luigi Brugnaro, fino a quelli di Lucca, di Asti, di Magenta, tutti espressione di giunte di centro destra. C'è anche Alessandro Ghinelli, sindaco di Arezzo, città dove Fratelli d'Italia siede tra le fila della maggioranza, che si è tirato addosso i rimproveri dei meloniani che hanno preso formalmente le distanze dal loro amministratore cittadino creando un piccolo caso.
Simile a quello di Andrea Corsaro a Vercelli, che sostenuto in Consiglio comunale da una maggioranza a trazione Lega, Fratelli d'Italia e Forza Italia, ha aderito alla mobilitazione pro-Draghi ed è stato contestato dal suo assessore alle Politiche giovanili, in quota Fdi. Che non si tratti di una spaccatura che divida perfettamente il campo del centrodestra da quello del centro sinistra lo testimonia anche l'iniziativa "bipartisan" di 55 sindaci siciliani di vari colori politici, che hanno condiviso l'appello e hanno rilanciato con una propria richiesta a Draghi affinché rimanga a Palazzo Chigi, perché c'è bisogno di "stabilità, certezze e coerenza per continuare la trasformazione delle nostre città - dicono -, perché senza la rinascita di queste non rinascerà neanche l'Italia".
E poi c'è il doppio fronte dei governatori. Schierati compatti ci sono i 3 presidenti di Regione in quota Fdi: Marco Marsilio in Abruzzo, Nello Musumeci in Sicilia e Francesco Acquaroli nelle Marche, che oggi non hanno condiviso l'iniziativa né nel merito né nel metodo, derubricandola a una "forzatura che chi ricopre un ruolo istituzionale non può permettersi, né tanto meno promuovere". Ma è Stefano Bonaccini a rispondere dalla sua Emilia Romagna: "centinaia di sindaci stanno firmando l'appello sono tutti burattini?Semplicemente surreale".
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