Enrico Letta prende le redini della campagna elettorale e, davanti alla direzione del partito, assume ufficialmente "il ruolo di front runner". Se è vero che per pensare a Palazzo Chigi ci sarà tempo, altrettanto vero è che il Pd sarà il pivot dello schieramento e "il voto darà un risultato chiaro - ribadisce Letta - Il pareggio non è contemplato. La scelta è fra noi e Meloni". In caso di vittoria, la mossa di Letta lo avvicina a Palazzo Chigi, ma quella lanciata in direzione non è una candidatura. Il tema va messo da parte - è il ragionamento del segretario Pd - perché logora, come sta già succedendo nel centrodestra. Bisogna "derubricare questa assurda discussione della premiership", ribadisce Letta rispondendo indirettamente a Carlo Calenda che, proprio negli stessi momenti, in Tv rilancia: "O Draghi o come presidente del consiglio mi candido io". Per sperare di vincere, servono forze che corrano insieme al Pd. "Il cuore del nostro progetto politico siamo noi - spiega Letta - Poi ci sono delle alleanze che siamo costretti a fare dalla legge elettorale". Si badi: "La legge elettorale non postula coalizioni - sottolinea - ma semplicemente delle alleanze elettorali". E qua sta il cuore del ragionamento: non serve un programma comune, ma un obiettivo comune. E' un modo per rendere più agili le intese, specie con Azione. Fra gli interlocutori ci sono anche Luigi Di Maio e Giuseppe Sala. Che nel pomeriggio incontrano Letta a Roma. "Non sarò parte di questa partita - chiarisce Sala - sto solo cercando di dare una mano". Il vertice si svolge nella sede dell'Arel, dove il segretario Pd tesse le alleanze: il suo ruolo è proprio quello di aiutare la nascita di una lista che faccia riferimento anche al sindaco di Milano e al ministro degli Esteri. Un tempo in quella sede Letta incontrava pure Giuseppe Conte. Ora il rapporto coi 5s è sepolto: su loro "il giudizio degli elettori è lapidario", sottolinea il segretario Pd.
Elezioni, Letta: 'Non ci sara' pareggio, o noi o Meloni'
"Saremo soli - gli risponde Conte - saremo il terzo polo, il terzo incomodo, il terzo campo, il campo giusto". Al momento, lo schema di gioco che si va delineando nel centrosinistra è più o meno questo: la lista Progressisti e democratici del Pd, con cui correrebbero anche esponenti di Demos e Articolo Uno, come Roberto Speranza. Papabili alleati: la lista Azione-Più Europa, la lista Verdi-Sinistra Italiana e la lista di Tabacci, quel Centro democratico che al Senato ha già accolto la formazione di Di Maio. E Letta mira "a parlare anche con chi ha votato Fi alle ultime elezioni". All'alleanza dovrebbe guardare anche l'ex azzurra Maria Stella Gelmini, che fa rotta verso Azione. Mentre ancora non sono definite le mosse del governatore ligure Giovanni Toti. L'accordo non sembra invece fattibile con Italia viva. Renzi lavora a un dialogo almeno con Calenda ma, per adesso, la prospettiva è "andare da soli", ammette il leader di Iv.
Per la verità, anche l'alleanza elettorale del Pd con Azione non è scontata. E' soprattutto a quella che si riferisce Letta quando ammette: "Non abbiamo interlocutori semplicissimi". Non aiuta la tempistica con cui in Lombardia il Pd ha aperto al M5s per le regionali. Azione e Movimento sono agli antipodi. I contatti fra Letta e Calenda sono comunque frequenti. "La strada è complicata - dicono al Nazareno - ma entrambi sono uomini delle istituzioni. Si rendono conto che la posta in gioco è altissima e che l'orizzonte è comune". Per la verità, nel Pd qualche remora all'alleanza con Calenda serpeggia. In direzione arrivano i warning di Matteo Orfini e, soprattutto, di Andrea Orlando: "Non dobbiamo autocensurare il nostro messaggio per tenere in piedi una alleanza tecnica", dice il ministro. Letta prepara la corsa da front runner. Non sarà in vetta da solo. Lo affiancheranno le capigruppo, Debora Serracchiani e Simona Malpezzi, e due presidenti di Regione: Stefano Bonaccini e, anche papabile candidato, Nicola Zingaretti. Due figure popolari e di aree diverse del partito.
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