È il corpo martoriato di Aida Rostami, una dottoressa di 36 anni che nelle ultime settimane ha curato a Teheran i manifestanti feriti, a parlare e a raccontare la sua verità. Un corpo dilaniato che porta i segni delle torture inflitte, in uno stato che smentisce senza alcun dubbio l'ipotesi dell'incidente stradale accreditata invece dalle autorità iraniane, come già accaduto per altri casi simili. Si inorridisce a leggere i racconti degli attivisti - pubblicati dal sito IranWire - che parlano di un corpo offeso, con le mani fratturate, la metà destra del viso schiacciata e l'occhio sinistro con diversi punti di sutura, il tutto per un impatto "con un oggetto duro".
La notizia della morte della donna, scomparsa a inizio settimana e poi restituita senza vita alla famiglia, sta destando sconcerto e shock, mentre sullo sfondo dilagano le proteste, innescate dalla morte tre mesi fa di Mahsa Amini nelle mani della polizia morale. In un Iran scosso e diviso dalle manifestazioni di piazza, non si placa neanche l'ondata di arresti, migliaia da quando sono iniziate le rivolte, e sale ad almeno 469 morti il bilancio delle vittime secondo l'ong con sede in Norvegia Iran Human Rights. Undici i manifestanti condannati a morte, due quelli già giustiziati.
Ultimo in ordine di tempo è l'arresto dell'avvocato delle giornaliste Nilufar Hamedi e Elaheh Mohammadi a loro volta agli arresti, con l'accusa, tra l'altro, di propaganda contro il sistema dopo la pubblicazione di reportage e foto sulla morte di Mahsa. Mohammadali Kamfiruzi, questo il nome del legale, prima del fermo, aveva denunciato il fatto che non aveva potuto incontrare le sue assistite né avere accesso ai loro dossier giudiziari, puntando così il dito contro un approccio giudiziario che ha definito illegale e in violazione dei diritti basici delle due donne. In manette anche la nota attrice Taraneh Alidousti che aveva pubblicato delle immagini che la ritraevano senza il velo hijab e nei suoi post sui social media aveva sostenuto le proteste.
Ma non è solo per le strade della grandi città o negli atenei che si respira un clima di forte tensione. Nel penitenziario di Karaj, nella provincia di Alborz a ovest di Teheran, sono stati segnalati disordini e scontri, in particolare nelle celle 2, 3 e 4 dove i prigionieri hanno protestato contro la possibile esecuzione di un gruppo di detenuti e hanno gridato slogan come "Abbasso Khamenei". Resoconti pubblicati sui social media hanno riferito poi del trasferimento in celle di isolamento di un gruppo di manifestanti incarcerati nella sezione politica della prigione di Rajaishahr, innescando i timori che possano essere impiccati. Tra loro un attivista di nome Saeed Eghbali che oggi ha iniziato lo sciopero della fame.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani è tornato a condannare "fermamente la repressione indegna in Iran e la pena di morte per giovani che si limitano a manifestare", ribadendo che "appena si sarà accreditato, convocherà il nuovo ambasciatore dell'Iran" per manifestargli "l'indignazione per quello che sta accadendo".
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