In Aula e nelle Commissioni deve essere "sempre garantito il rispetto del linguaggio di genere" e "riconosciuto il diritto di ogni senatrice a essere chiamata, "senatrice" e non "senatore". E' l'appello rivolto al presidente del Senato Ignazio La Russa da 76 tra senatori e senatrici con una lettera di cui si è fatta promotrice Aurora Floridia di Avs perché, la settimana scorsa, racconta la stessa parlamentare, "in commissione Esteri ho più volte chiesto di essere chiamata senatrice, ma la presidente ha ignorato la mia richiesta". Tale rifiuto è ritenuto dai firmatari - i gruppi Pd, M5s, Avs e singole firme tra Iv, Az e Aut - "sgradevole e fuori tempo".
"Il rifiuto di figure istituzionali quali i Presidenti di Commissione, ad usare la desinenza femminile - specie ove richiesto esplicitamente - risulta essere, oltre che sgradevole, del tutto fuori dal tempo", si legge nella lettera inviata a La Russa. L'uso del "linguaggio di genere", viene spiegato dai firmatari, è "un alleato irrinunciabile nella battaglia comune per l'eliminazione della violenza contro le donne e sarebbe un vero peccato se il Senato della Repubblica rimanesse arretrato in posizioni del tutto anacronistiche". "Da oltre 10 anni - prosegue la lettera - l'Accademia della Crusca ribadisce l'opportunità di usare il genere grammaticale femminile per indicare ruoli istituzionali (la ministra, la presidente, l'assessora, la senatrice, la deputata ecc.) e professioni alle quali l'accesso è normale per le donne solo da qualche decennio (chirurga, avvocata o avvocatessa, architetta, magistrata ecc.) così come del resto è avvenuto per mestieri e professioni tradizionali (infermiera, maestra, operaia, attrice ecc.). La decisione o il rifiuto di usare i nomina agentis declinati al femminile rappresenta una scelta individuale che ha delle ricadute potenzialmente non indifferenti sulla progressione dell'emancipazione femminile nella nostra società: ciò che viene nominato, infatti, acquisisce maggiore consistenza, oltre che visibilità, mentre tutto quello che non viene appellato con precisione rimane, in qualche modo, meno visibile, se non altro perché non se ne può parlare".
"Il rifiuto di figure istituzionali quali i Presidenti di Commissione, ad usare la desinenza femminile - specie ove richiesto esplicitamente - risulta essere, oltre che sgradevole, del tutto fuori dal tempo", si legge nella lettera inviata a La Russa. L'uso del "linguaggio di genere", viene spiegato dai firmatari, è "un alleato irrinunciabile nella battaglia comune per l'eliminazione della violenza contro le donne e sarebbe un vero peccato se il Senato della Repubblica rimanesse arretrato in posizioni del tutto anacronistiche".
"Da oltre 10 anni - prosegue la lettera - l'Accademia della Crusca ribadisce l'opportunità di usare il genere grammaticale femminile per indicare ruoli istituzionali (la ministra, la presidente, l'assessora, la senatrice, la deputata ecc.) e professioni alle quali l'accesso è normale per le donne solo da qualche decennio (chirurga, avvocata o avvocatessa, architetta, magistrata ecc.) così come del resto è avvenuto per mestieri e professioni tradizionali (infermiera, maestra, operaia, attrice ecc.). La decisione o il rifiuto di usare i nomina agentis declinati al femminile rappresenta una scelta individuale che ha delle ricadute potenzialmente non indifferenti sulla progressione dell'emancipazione femminile nella nostra società: ciò che viene nominato, infatti, acquisisce maggiore consistenza, oltre che visibilità, mentre tutto quello che non viene appellato con precisione rimane, in qualche modo, meno visibile, se non altro perché non se ne può parlare".
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