Insieme "per scelta". Per "cinque anni" e magari anche di più. Sul palco di Cagliari a sostenere il candidato che si gioca (sul filo, secondo i sondaggi riservati da entrambe le parti) l'elezione a governatore della Sardegna c'è tutto il centrodestra. E tutti a garantire che problemi nella coalizione non ci sono, che la capacità di fare sintesi è dimostrata dai fatti e a liquidare come racconti dei "giornaloni" le tensioni che invece si moltiplicano: dalle posizioni non proprio allineate sulla Russia e Navalny alla vigilia del primo G7 italiano con Kiev al centro, fino all'italianissima querelle sul terzo mandato dei governatori.
Giorgia Meloni e Matteo Salvini arrivano sull'isola insieme, stesso volo ma posti lontani. Si parlano brevemente nel retropalco ma ci sono tutti. C'è Paolo Truzzu, che spera di lasciare la fascia tricolore di sindaco di Cagliari per indossare la casacca di governatore della Regione, consapevole che quello sardo è diventato inevitabilmente uno stress test nazionale per la coalizione. E c'è anche Christian Solinas, che è stato "coraggioso", per dirla - tra gli altri - con Maurizio Lupi, e ha ceduto il passo. E c'è Antonio Tajani che dalla mattina fa campagna elettorale e incontra pure i rappresentanti delle proteste dei trattori. Che tentano, senza successo, di parlare anche con la premier. Meloni invece si fermerà brevemente con i rappresentanti della Cgil che la aspettavano davanti ai cancelli della Fiera di Cagliari con lo striscione 'basta morti sul lavoro'. Il tema è al centro dell'attenzione del governo, dice lei, assicurando che lunedì il Consiglio dei ministri, che già ha esaminato la questione, varerà nuove norme che potrebbero allineare, almeno "sopra una certa soglia", le regole degli appalti privati a quelli pubblici.
Da Salvini, che è il primo leader a salire sul palco (di solito la scaletta vede prima Fi, poi la Lega e infine la leader di Fdi), arrivano parole al miele per la premier: "Ho trovato in Giorgia non solo un'alleata e un'ottima presidente del Consiglio ma un'amica", dice il leghista. Che poi si lascia andare ai toni da comizio contro "la mafia nigeriana" da prendere "a calci nel sedere" e la droga che è "una merda" e chi si droga "un coglione". Ma il vicepremier non ha "paura" né "della sinistra" né "dei giudici", che ora hanno aperto un fascicolo sul Ponte sullo Stretto. Ora dovrà misurarsi anche con la richiesta di sfiducia lanciata da Azione cui si è associato anche il leader M5s Giuseppe Conte. Il nodo è sempre quello dei rapporti con Russia unita e le posizioni su Vladimir Putin, che preoccupano non solo le opposizioni.
Quel "più provano ad allontanarci più andiamo avanti compatti e uniti" e le dichiarazioni di amicizia oltre che lealtà sono subito rimbalzate a Roma dove il resto della maggioranza continua a scommettere su un ritiro, anche all'ultimo minuto degli emendamenti della discordia sui mandati dei governatori (ribattezzata in Fdi come la battaglia 'salva-Zaia'). Certo la notte porterà consiglio ma al momento il partito di via Bellerio sarebbe intenzionato ad arrivare a un voto, che registrerebbe una spaccatura nella maggioranza che però tutti cercano di minimizzare. E vista l'insistenza dell'alleato, dai piani alti del governo sarebbe arrivato l'ordine di scuderia di chiudere in fretta la partita. Senza aspettare l'esito del voto sardo, come avrebbero preferito i leghisti.
Anche Meloni, comunque, ignora il tema sul palco. Rispolvera i toni da comizio, snocciola tutti i risultati del governo e assicura che si andrà avanti. L'affondo, al solito, arriva sul centrosinistra e su quel "campo largo" di cui i sardi non possono "essere le cavie". Poi gli applausi, l'inno e la foto di rito. Ride e si dà di gomito con Salvini, che arriva in ritardo per lo scatto e non si mette subito accanto a lei. Poi tutti in ordine. Meloni con Tajani e Salvini di lato. E tutta la coalizione. Unita, almeno sul palco.
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