La parola d'ordine nel centrodestra è minimizzare. Il voto in Sardegna era un voto locale che non ha avuto e non avrà impatti sul governo. Ma a sera è la stessa Giorgia Meloni a fare trapelare, pur tra gli scherzi e i sorrisi dell'intervento alla stampa estera, tutta l'amarezza per il risultato sull'isola. "Ho perso la Sardegna", ammette senza giri di parole, mandando al contempo quello che suona come un avviso agli alleati: "sono buona ma mai sottovalutare un buono costretto a diventare cattivo". Poi lo scatto d'orgoglio racchiuso in una battuta: "Se vi avanza qualche soldo da investire bene in una nazione seria, con un governo longevo, ci sarebbe questo BTp Valore a cui mi permetto di fare pubblicità…".
Nel giorno che certifica la vittoria di Alessandra Todde su Paolo Truzzu è il momento di mandare in scena l'unità e l'autocritica anche se qua e là, nonostante il tentativo di nascondere le frizioni sotto il tappeto, riemergono i distinguo tra gli alleati. Il candidato, certo, si assume la responsabilità di avere fallito la prova. E la premier firma una nota congiunta insieme ad Antonio Tajani e Matteo Salvini ammettendo che sì qualche "errore" è stato fatto e dovrà servire per non ripeterne altri, già a partire dalle prossime tornate elettorali.
Alla fine paga il centrodestra che resta unito, la coalizione ha aumentato il suo consenso "sfiorando il 50%", è il leit motiv. E la Sardegna, notano ai piani alti di Fdi, ogni cinque anni cambia colore. Ciascuno poi interpreta i numeri a modo suo.
La Lega con il Psd'az ha migliorato la sua performance sull'isola, il ragionamento che sottolinea il vice di Matteo Salvini, Andrea Crippa, respingendo i sospetti che aleggiano sulla Lega di aver orchestrato il voto disgiunto. "Impossibile", assicura. Sottolineando, come peraltro fanno anche in Fdi, che nelle città, a partire da Cagliari, Truzzu ha avuto un tracollo di voti rispetto alla coalizione. "Altro che voto disgiunto", il commento ricorrente. Certo, punzecchia il leghista "il territorio non ha capito il criterio dei rapporti di forza". Le candidature locali non si possono fare "con il manuale cencelli", gli fa eco Massimo Bitonci, guardando al Veneto, mentre Luca Zaia conta ancora che la partita del terzo mandato non sia "chiusa". Il suo partito in teoria dovrebbe ripresentare in Aula l'emendamento bocciato in commissione, ma il risultato non dovrebbe cambiare, spiega il ministro dei Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, invitando di nuovo l'alleato a riparlarne con calma, dopo le europee.
E' quella, il ragionamento che si fa in Fdi, la vera partita.
"Touché alla Todde che ha fatto una bella campagna elettorale" ma amministrative e regionali "sono un fatto locale. Ci vediamo l'11 giugno", dice il capogruppo alla Camera Tommaso Foti. Nel frattempo però bisognerebbe evitare di arrivare troppo a ridosso del voto a individuare le candidature, come successo in Sardegna, e stigmatizzato da Matteo Salvini ("se si cambia un candidato in corsa è più complicato"). Tanto che il tavolo del centrodestra per le amministrative è tornato a riunirsi nel tentativo di accelerare le prossime scelte. "Noi siamo per Bardi, con una convergenza più ampia" in Basilicata, ribadisce Maurizio Gasparri sottolineando che oltre al nome bisogna creare "le condizioni per vincere". E si starebbe chiudendo sul governatore uscente Vito Bardi ("non ci sono preclusioni di Fdi" assicura Giovanni Donzelli), anche se nella Lega sono convinti di avere "alternative valide". Certo il partito di via Bellerio, che potrebbe incassare l'ok alla scelta di Eike Schmidt per la corsa a sindaco di Firenze, dopo il passo indietro su Christian Solinas punta su Cagliari e sulla riconferma di Donatella Tesei in Umbria. Ma si vota a giugno e in autunno. C'è tempo per decidere, dicono gli alleati.
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