Un mese, o poco meno. Se tutto andrà bene, e gli scongiuri tra gli esponenti della maggioranza sono d'obbligo, a fine novembre Raffaele Fitto lascerà il suo posto da ministro per vestire ufficialmente la casacca del commissario e, negli auspici, anche vicepresidente esecutivo della nuova Commissione europea. E nel rebus per la sua sostituzione inizierebbe a farsi strada anche l'idea di una figura tecnica, che possa prendere in mano almeno i dossier più delicati (e dal portafoglio parecchio importante) del Pnrr e dei Fondi di coesione.
Giorgia Meloni, dice chi le ha parlato, ancora non si sarebbe sbilanciata, perché "ci metterà la testa dopo il 12 novembre", quando si saprà se il suo fidato ministro avrà superato il test dell'audizione al Parlamento europeo. Lui nelle ultime settimane a Roma non si è praticamente più visto. Fa la spola tra Bruxelles e Strasburgo, incontra gli europarlamentari, si prepara per l'hearing che già si preannuncia piuttosto impegnativa. Il commissario espresso dal governo di destra italiano e da Ecr, il partito dei conservatori europei che non ha sostenuto (Italia in testa) il bis di Ursula von der Leyen, gode del sostengo anche di Popolari e Sovranisti. Ma le eurodestre da sole non bastano per superare l'esame, che per Fitto sarà incentrato sull'europeismo, come vanno ripetendo i suoi avversari politici - dai socialisti ai liberali, che hanno giusto scritto alla presidente per ribadire "non tollereremo alcuna deviazione dalla nostra piattaforma e dai nostri obiettivi pro-europei". Tutti sono consapevoli che non ci sono maggioranze autonome (per superare il voto in commissione servono i due terzi) ma la giornata dei sei vicepresidenti - che si aprirà con l'audizione del conservatore Fitto (e della popolare Kaja Kallas) per chiudersi con la socialista Teresa Ribera - sarà comunque da brividi.
Nell'attesa, la premier starebbe valutando in solitaria i pro e i contro delle diverse opzioni per coprire la casella che, è convinta, Fitto lascerà libera. Dopo l'affaire Sangiuliano e la bufera sul capo di gabinetto del suo successore, Alessandro Giuli, la leader di Fdi vorrebbe evitare altri polveroni che rischiano di offuscare l'immagine del governo, ma anche di risvegliare gli appetiti degli alleati. Anche per questo, nelle ultime settimane, sarebbe spuntata l'idea di affidare il portafoglio del ministro pugliese a una figura più istituzionale che politica (Ylenja Lucaselli, uno dei nomi circolati per il dopo-Fitto, intanto declina dicendosi "felicissima" dove sta, in commissione Bilancio alla Camera).
Una volta scelto lo schema, a cascata si scioglierebbe anche il nodo dello spacchettamento, o meno, delle 4 deleghe ora in mano a Fitto, che oltre a Pnrr e coesione ha l'incarico per gli Affari europei e per il Sud. Una delle soluzioni immaginate in prima battuta puntava a suddividere i portafogli, magari sfruttando i due posti da sottosegretario liberati da Augusta Montaruli e Vittorio Sgarbi.
Tutto sarebbe ancora sotto revisione, compresa l'idea iniziale di mantenere l'interim, almeno per un primo periodo. Si starebbero infatti moltiplicando i suggerimenti alla premier a procedere velocemente al ricambio, così come accaduto proprio per la staffetta Sangiuliano-Giuli. Sull'intero quadro pesa, però, anche l'incognita di altre defezioni, visto che resta sempre in bilico la posizione della ministra del Turismo, Daniela Santanché, su cui pendono due rinvii a giudizio.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA