Due mesi da primula rossa dalla capitale libica fino alla sua citta' natale, Sirte, dove oggi e' stato catturato e ucciso. La lunga fuga di Gheddafi e' iniziata da Tripoli, da quel ricco compound, residenza di lusso con cristalli e tappeti, nel quale troneggiava il monumento fatto erigere da lui stesso: un pugno dorato che stritolava un aereo americano. Il bunker assalito il 23 agosto dai ribelli e dal quale Gheddafi era riuscito a fuggire era diventato meta di una sorta di turismo liberatorio, di libici in visita tra le macerie alla ricerca di 'souvenir'. Ed e' finita in una buca a Sirte, l'ultima roccaforte dei lealisti, catturato, ferito e ucciso dai combattenti del Cnt, ai quali gridava: 'Non sparate, non sparate'.
Per due mesi il mondo intero ha seguito le sue tracce ma il rais era una 'primula rossa' che di volta in volta veniva avvistata in Algeria - dove si trovano la moglie e alcuni dei suoi figli - , nello Zimbabwe protetto dal suo amico Mugabe, in Niger, in Sudafrica, in Burkina Faso; no meglio in America Latina come aveva detto il segretario generale del parlamento libico Mohammed Quasim al-Zawi, magari in Venezuela dal suo amico Hugo Chavez. Ma secche arrivavano subito le smentite dei Paesi interessati. 'Il rais non e' qui... abbiamo ospitato alcuni dei suoi fedelissimi per ragioni umanitarie'. E il Pentagono dichiarava lapidario: Gheddafi e' in Libia, non si e' mai mosso dal Paese'. Lui in effetti era li', nella citta' nella quale era nato, e dalla quale continuava a inviare messaggi: 'Non sono in fuga, sconfiggeremo i ratti e i mercenari che ci attaccano, la Nato sara' sconfitta' diceva a settembre.
Ma i ratti lo hanno catturato, lui il rais, come un topo in trappola, che ha finito i suoi giorni tra la polvere, dopo aver passato la vita tra sete e tappeti. Forse la sua fuga e' stata un lungo viaggio attraverso il paese, protetto dai suoi, che lo ha portato nelle citta' che mano a mano cadevano nelle mani del Cnt, magari anche a Bani Walid, conquistata pochi giorni fa, o protetto dai tuareg, tra le dune orientali della Libia al confine con l'Algeria. Una fuga che si chiude con le immagini del colonnello coperto di sangue e del ragazzo che gli ha portato via dalle mani l'ultimo simbolo del suo potere: una pistola d'oro.