La canonizzazione di papa Giovanni XXIII mette un suggello, ''un marchio'', al Concilio Vaticano II, ''certifica che non è stato solo un tempo di turbolenza ma anche un tempo di grazia'', ''riconosce la grande obbedienza di papa Giovanni allo Spirito nel convocare il Concilio''. Parla lo storico Alberto Melloni, uno dei maggiori studiosi del Concilio e della stessa figura di papa Roncalli. ''Se si dovesse trovare un nome per il santo Roncalli, così come si è già fatto per altri santi'', come per esempio santa Teresa di Gesù Bambino o san Giovanni della Croce, ''spero che si potrà chiamare san Giovanni del Concilio'', dice in un'intervista all'ANSA il professor Melloni.
''La cosa più importante di questa canonizzazione - sottolinea - non è l'analogia, che pure esiste, tra Francesco e Giovanni, ma il fatto che è stata data una risposta a quei vescovi e cardinali che volevano che Roncalli venisse acclamato santo nel concilio''. Paolo VI aveva deciso invece per il processo ordinario, e di fatto la beatificazione è avvenuta secondo questa procedura. ''Francesco ha invece voluto salvare la richiesta conciliare''. E infatti, grazie alla decisione di papa Francesco, si procederà con una canonizzazione equipollente, senza miracolo. ''E comunque i miracoli li ha fatti da vivo: se non c'è stata la terza guerra mondiale e siamo tutti ancora qui lo dobbiamo a lui. Forse può bastare'', dice lo storico.
Melloni 'sposa' l'appello del segretario di papa Giovanni, il cardinal Loris Capovilla, a non chiamare Roncalli ''il Papa buono''. Definirlo così '' è stato un tentativo non innocente - dice lo storico Melloni - di castrare papa Giovanni, di caramellarlo, di chiuderlo in un guscio zuccheroso''. Lui che invece ha impresso una svolta nella storia della Chiesa senza precedenti.
Come anche non sono solo le origini povere di Angelo Roncalli ad avere dato un'impronta al suo pontificato. ''Papa Giovanni veniva da una famiglia povera e contadina e questo dimostra - dice Melloni - che la Chiesa è un grande ascensore sociale ma la chiave del suo pontificato è stata soprattutto la sua esperienza internazionale. Quel Papa prima di arrivare a San Pietro aveva visto il mondo intero. Dalla Bulgaria, negli anni prima della guerra, alla Turchia dove non si poteva girare con la talare. E poi la Francia di De Gaulle con i cattolici di sinistra la potere per la prima volta. Era un orizzonte globale. Possiamo dire - sottolinea Melloni - che aveva imparato il Vangelo dagli altri''. E ora c'è il pontificato di Papa Francesco che ''ha evidenti analogie'' con quello di Roncalli tanto che nel conclave del 2005 (quando fu eletto Papa Joseph Ratzinger) se fosse stato scelto lui ''si sarebbe chiamato Giovanni XXIV'' dice Melloni. E anche un anno fa Bergoglio ha pensato a Roncalli anche se con quell'invito rivolto dal cardinale brasiliano a non dimenticarsi dei poveri ''ha prevalso la scelta di Francesco''. Ma la continuità tra i due pontefici, quello del Concilio e quello di oggi, ''è l'aver messo al centro del ministero l'annuncio del Vangelo, senza paura. Prima Giovanni e oggi Francesco dicono che il Vangelo basta''. In questo senso è anche ''l'intuizione di Papa Giovanni XXIII che in un radiomessaggio del 1962 parlò di 'Chiesa dei poveri'.
La Chiesa diventava non più il luogo dove la povertà potesse trovare un'accoglienza pietosa ma la stessa povertà assumeva una soggettività teologica. Si riconosceva che la povertà di Cristo non era stata un modo come un altro per incarnarsi ma una scelta intenzionale. Dopo allora - racconta Melloni - quel messaggio è stato tacitato. E' diventato impronunciabile''. Fino all'arrivo di Papa Francesco. ''Quella profezia, assunta da un vescovo che veniva dalla Chiesa povera dei poveri, ha consentito al pontificato di riguadagnare in quindici mesi una credibilità che credevamo perduta per sempre''.
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