"Un forte scoppio. E le fiamme divorarono i miei colleghi". Sono passati dieci anni dall'incendio che, nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, uccise sette operai dello stabilimento torinese della Thyssen. Ma Antonio Boccuzzi, oggi deputato del Partito Democratico ma all'epoca operaio dell'acciaieria, non può dimenticare. Lui, l'unico superstite, non riesce a cancellare i ricordi. Miracolato, salvato da un carrello che fece da barriera, non può scordare quell'orrore.
"Era un turno normale, un turno come un altro alla linea 5. Quando divampò un piccolo incendio", racconta all'ANSA. "Abbiamo cercato di spegnerlo: ma la maggior parte degli estintori era vuota. Erano già stati usati e nessuno li aveva sostituiti. Abbiamo preso le manichette dell'acqua". A quel punto lo scoppio. Le fiamme divamparono e divorarono gli operai. "La mia famiglia. Perché, dopo che passi ore e ore in fabbrica, i tuoi colleghi diventano la tua famiglia". Boccuzzi prova a chiamare i vigili del fuoco, ma invano: il cellulare aziendale è rotto. Il capannone diventa un forno. "Io mi salvai per miracolo: solo delle ustioni in viso di secondo grado. Dico 'solo' perché, a differenza degli altri, sono ancora vivo".
Secondo tanti fu una tragedia annunciata. "Da lì a nove mesi lo stabilimento avrebbe chiuso", spiega Boccuzzi. "Ormai era abbandonato a sé stesso. Sporco. La manutenzione, quando veniva fatta, era inadeguata". Lui, alla Thyssen dal '95, era sindacalista della Uilm e, insieme ad alcuni colleghi, aveva preparato un elenco di cose che non andavano. "Nel weekend la ditta era chiusa e c'era tutto il tempo per provvedere". Ma le loro segnalazioni rimasero inascoltate, le loro richieste non vennero nemmeno prese in considerazione. Se qualcuno poteva fare qualcosa, non lo fece.
"Ho scelto l'impegno politico perché credo nella necessità di una legislazione migliore sugli infortuni sul lavoro - sottolinea Boccuzzi -. Dopo il rogo molto è stato fatto, ma molto è ancora da fare. E la politica aveva, ha e deve avere un ruolo per la sicurezza dei lavoratori. Quello è stato un dramma per il Paese". Il processo in Italia si è concluso, ma i due dirigenti tedeschi non hanno ancora fatto nemmeno un giorno di carcere. La Germania non ha ancora reso esecutiva la sentenza.
"Una presa in giro, un paradosso, un'ingiustizia". Boccuzzi non usa mezzi termini. "Se la parola 'giustizia' ha un senso, la Germania deve rendere esecutiva la sentenza italiana. Deve rendersi conto di quello che è successo qui. Inoltre, in Germania l'omicidio colposo è punito con un massimo di cinque anni di carcere, peccato che Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz siano stati condannati rispettivamente a nove e sei anni di reclusione".
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