"Ha urlato, ha urlato sino a che il fuoco non l'ha consumato". Sono passati dieci anni dal rogo che costò la vita a sette operai dello stabilimento torinese della ThyssenKrupp. Ed Elena, mamma di Antonio Schiavone, una delle vittime, continua a rivivere quella notte. "Sono andata a vedere dov'è morto, sono andata a vedere quel capannone. Ed è come se avessi rivissuto lo strazio. Non posso dimenticare quando, alle 4 di notte, sono arrivati i poliziotti a dirmi che mio figlio era morto. Tra le fiamme".
Seduta sul divano, la donna accarezza la foto del suo Antonio. "Ho dovuto riconoscerlo sa? L'ho riconosciuto perché sono una mamma, ma di lui non c'era più nulla. E pensare che quel giorno non avrebbe dovuto nemmeno essere di turno". Aveva chiesto un permesso per accompagnare la figlia a una festa, ma gli era stato negato. "Erano trattati come schiavi. Non avevano nemmeno il tempo di pranzare o di andare in bagno". Elena la vita di fabbrica la conosce bene. Rimasta vedova giovanissima, ha sempre lavorato in Fiat. "Lui, in confronto a me, era all'inferno. La sera tornava sempre sporco d'olio, aveva delle ferite, si faceva male. Là dentro le cose non funzionavano. Me l'hanno ammazzato, a soli 36 anni. A me, a sua moglie e ai suoi tre figli: il più piccolo, all'epoca aveva solo due mesi".
Elena non riesce a perdonare. "Saranno passati anche dieci anni, ma il dolore non passa. E nemmeno la rabbia". Fa una pausa. Poi prende forza. "I tedeschi non hanno mai fatto un giorno di carcere e agli italiani condannati concedono i permessi. I nostri figli sono morti in modo atroce e loro? Sono degli assassini". Elena si reca al cimitero ogni giorno, dove si incontra con le altre mamme. Le mamme della Thyssen.
"Quella fabbrica ci ha dato da mangiare e poi ci ha tolto tutto. Quella fabbrica è il terrore". Così la definisce Graziella Rodinò, mamma di Rosario, morto a soli 26 anni. "Mio figlio aveva la passione dei motori. Si era comperato la macchina e mi aveva detto: appena finisco di pagarla, me ne vado. L'auto l'ha pagata, ma lui se n'è andato per sempre".
Graziella non si dà pace. "Tutti mi dicono di andare avanti, ma è impossibile. Un genitore non dovrebbe mai seppellire il proprio figlio. Per me, l'unico modo per andare avanti è cercare giustizia". Quella giustizia che queste mamme non riescono a ottenere. Ora stanno pensando di organizzare un viaggio in Germania, per chiedere di mandare definitivamente in carcere gli amministratori tedeschi della società. "Non possono passarla liscia. Sono degli assassini".
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