Da parola aperta, gravida e piena di promesse a orizzonte prima minaccioso poi addirittura deprimente: la parabola declinante del futuro, almeno dal secondo dopoguerra ad oggi, rappresenta bene la prospettiva di quel mondo che Greta e gli altri, pur con l'ingenuità dei 16 anni ingenerosamente irrisa da Massimo Cacciari, vogliono provare a caricarsi sulle spalle e se, possibile, a 'curvare' indirizzandolo diversamente.
Nel periodo della rinascita postbellica e poi nel pieno del boom economico, in un certo senso il mondo era praticamente 'solo' futuro, orizzonte, prospettiva di crescita: non è un caso che quelli siano gli anni della questione giovanile che altro non è che il mondo visto con gli occhi del futuro (più libertà, più pace, più amore, più sviluppo). E' il trionfo di quello che il filosofo Ernst Bloch aveva definito il 'principio speranza': l'attitudine naturale della coscienza anticipante dell'uomo, quella che mette in moto i progetti.
La minaccia però è dietro l'angolo: la crisi petrolifera e la previsione (errata) del prossimo esaurimento delle risorse, dà fiato a millenaristi di ogni risma e i 'futurologi' che si esercitano tra giornali, tv e libri in genere rappresentano un orizzonte cupo, fatto di privazioni, carestie, disastri nucleari. I più audaci cominciano anche a parlare di inquinamento e a porre il problema del modello di sviluppo.
Quaranta anni dopo, sembra non esserci più neanche la forza di predire un futuro alla Blade Runner: il sentimento prevalente è la depressione, l'atteggiamento più gettonato la rinuncia, il clima di stallo. Fino all'arrivo di Greta: la ragazzina svedese diventata il punto di riferimento di un movimento giovanile che chiede ai governi azioni per salvare il futuro dai disastri del riscaldamento globale. Lei, sedicenne, tutti i venerdì non andava a scuola per protestare, tutta sola, davanti al parlamento svedese con un cartello scritto a mano: 'Sciopero dalla scuola per il clima'. Oggi, nel giro di poco più di un anno, è riuscita a muovere una folla di giovani e studenti che sono scesi in piazza per lottare per salvare il pianeta con i cartelli con su scritto 'future', proprio quel futuro che a causa dei cambiamenti climatici non riescono più a vedere, ad immaginare.
Ma non è solo Greta a tornare a parlare di futuro. Anche qualche politico ci prova: dopo aver chiamato i suoi comitati Ritorno al futuro, Matteo Renzi giustifica il suo addio al Pd con quella che secondo lui è la mancanza di visione del futuro. Ma prima di lui, anche un altro ci aveva provato, e sempre appellandosi al futuro ma con risultati scarsissimi: era Gianfranco Fini, uscito dal Pdl, che fonda Futuro e libertà.
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