Nella Somalia senza pace dal 1991, la guerra al coronavirus implica anche l'impiego di religiosi islamici impegnati a contrastare la propaganda dei jihadisti "al-Shabaab" sul Convid-19.
Il gruppo terroristico legato ad al-Qaida e attivo in parte della Somalia centro-meridionale ha prontamente inserito il coronavirus fra le malattie infettive "diffuse dalle forze crociate che hanno invaso il Paese e dagli Stati infedeli che le sostengono", come recita un avviso segnalato dal sito della Bbc.
Sebbene siano stati registrati solo tre casi e nessun decesso, il timore di un'ecatombe in un Paese dal sistema sanitario devastato e con centinaia di migliaia di disperati ammassati in campi profughi ha spinto le autorità a chiudere le madrasse, le scuole coraniche dove va quasi ogni bambino. E proprio arruolando gli insegnanti, oltre a imam di moscheee d'intesa con capi religiosi, il governo è riuscito a formare un "esercito anti-corona". L'idea è di far appostare i suoi 'soldati' a incroci e luoghi di raduno per diffondere con altoparlanti, oltre che dai minareti, sensati messaggi che contrastino quelli deliranti degli al-Shabaab, ha segnalato Koshin Abdi Hashi, vice-coordinatore per la lotta all'estremismo violento presso l'ufficio del premier. Fra l'altro verranno lanciate esortazioni a lavarsi le mani basandosi sui precetti islamici relativi alla pulizia personale, ha anticipato Mohamed Ali Ibrahim, un consigliere del ministero degli Affari religiosi. "L'Esercito anti-corona" inoltre cercherà di controllare se la gente segue queste indicazioni igieniche e rispetta un distanziamento sociale: due misure che nei campi-profughi, ammette Hashi, sono però "una questione astratta".
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