(Le foto sono di Paolo Miranda, un infermiere presso la terapia intensiva di Cremona)
C'è l'amore per il proprio lavoro, il senso di quanto sia importante essere un semplice ingranaggio di quella macchina che da oltre 50 giorni sta rispondendo all'offensiva del Coronavirus, nella storia di Monica da 20 anni infermiera in terapia intensiva e che vive in trincea all'ospedale di Cremona. Monica, oltre a scontrasi con la sofferenza quotidiana, racconta la sua paura di esseri pure lei ammalata e le ore da incubo trascorse ad aspettare l'esito del tampone. Paura e incubo che si sono sciolti in un salto di gioia nel corridoio del reparto, in una corsa e, nonostante la bardatura da astronauta, in un abbraccio con la collega. E questo non tanto per non essere stata attaccata dal virus ma per poter continuare a stare lì, accanto al letto dei pazienti.
"Sono rimasta sorpresa di me stessa, del mio gesto, perché in genere sono molto riservata. E' stato quasi uno sfogo liberatorio", dice Monica. E il suo salto per la felicità, in mezzo a quel lungo corridoio dove la prima regola, nonostante le sconfitte si mescolino a piccole e grandi vittorie, è il divieto di deporre le armi, "è stata pura gioia forte, forte, forte.Alla notizia del tampone negativo - aggiunge - non sono riuscita a trattenermi, ero contenta perché potevo stare al lavoro e dare una mano". L'attesa del risultato è stata dura "l'angoscia non mi lasciava, mi assillava e continuavo a ripetere ai miei colleghi 'non posso stare a casa, qui c'è bisogno'". Monica che in genere ha paura più per gli altri che per sé stessa si era messa in testa di essere positiva, come la sorella anche lei infermiera nell'ospedale tra i primi ad essere messi in ginocchio dall'epidemia. Si erano viste fino al giorno prima e aveva quindi tutte le ragioni per temere "E invece - dice da dietro la mascherina - per fortuna non sono piaciuta al virus".
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