La scelta controcorrente dell'India di continuare a utilizzare l'idrossiclorochina in funzione preventiva fa discutere la comunità medica e scientifica del paese. L'ICMR, il consiglio indiano per la ricerca medica, al quale il governo ha affidato la risposta alla pandemia, ha deciso non solo di riconfermare l'uso dell'antimalarico ma anche di allargarne la somministrazione ad una platea di soggetti più ampia: oltre agli operatori sanitari che lavorano coi pazienti ammalati di COVID-19, anche a tutti gli agenti di polizia e sicurezza del paese. Se a fine aprile aveva fatto discutere la sperimentazione del farmaco sugli abitanti dello slum di Dharavi, a Mumbai, dove era stato registrato il primo focolaio, nei giorni scorsi l'annuncio indiano ha stupito perché è arrivato nello stesso momento in cui l'Organizzazione Mondiale della Sanità sospendeva i test dopo che la rivista Lancet ha dimostrato le possibili complicazioni cardiache. Per sostenere la scelta dell'ICMT, il Direttore Generale Balram Bargava cita suoi studi tuttora in corso, ma numerosi medici lo contestano per non avere fornito evidenze scientifiche. "Mancano informazioni sui protocolli, le strategie di monitoraggio, i risultati di tossicità", ha detto a Sroll.In lo scienziato Amar Jessani. Numerosi medici del prestigioso AIIMS segnalano al sito di notizie The Print preoccupazioni diverse: "Molti operatori potrebbero vedere l'idrossiclorochina come il farmaco del miracolo e non seguire più le regole: la distanza, l'igiene, le mascherine" Altri ancora ricordano la probabile pressione delle industrie farmaceutiche indiane: il 70% dell'antimalarico prodotto al mondo viene dall'India, e la produzione è aumentata in modo esponenziale da quando il presidente Usa ha dichiarato di usarlo come prevenzione. Qualcuno dovrà pure consumarla".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA
