Tra le prevedibili conseguenze del recente rientro nei luoghi di origine di quasi cento milioni di lavoratori indiani, c'è la minaccia di un'esplosione demografica. Una seria sfida che il paese sa di dover affrontare nei mesi a venire. Nel tentativo di prevenirla, il governo del Bihar, uno degli stati più popolosi e poveri del subcontinente, ha deciso di correre ai ripari, e ha lanciato una campagna anticoncezionale: prima di rientrare in famiglia, tutti quelli che escono dai centri governativi alla fine della quarantena obbligatoria ricevono un kit con preservativi, anticoncezionali, e test di gravidanza. "Nei nostri undicimila centri sono già passati in più di ottocentomila; entro la metà di giugno, altri 526 mila termineranno il periodo di precauzione e partiranno per raggiungere i loro villaggi", dicono dal Dipartimento per la famiglia dello stato. "Al novanta per cento sono maschi, che hanno vissuto a lungo lontani dalle famiglie. Per questo, abbiamo istruito migliaia di volontari e li abbiamo sguinzagliati nei centri, a distribuire i kit e tenere lezioni sulla prevenzione delle nascite". Molti migranti hanno protestato, offesi: "Lo stato, invece di fornirci grano, medicine o di creare opportunità di lavoro, spende soldi per non farci fare figli".
L'allarme della bomba demografica serpeggia in tutta l'India anche per ragioni diverse: preoccupano, tra l'altro, gli aborti non effettuati durante il lockdown, oltre 1 milione 850 mila secondo uno studio della Ipas Development Foundation (IDF), reso noto oggi. I consultori e gli ambulatori pubblici sono tuttora focalizzati sulla lotta contro il Coronavirus, e molte cliniche private sono rimaste chiuse, almeno nella prima fase del lockdown. Vinoj Manning, il direttore della IDF, calcola che, mentre di solito l'India registra quasi 4 milioni di interruzioni di gravidanza ogni tre mesi, durante il blocco, il 60 per cento delle indiane hanno dovuto rinunciare ai servizi sanitari e non hanno potuto accedere all'aborto sicuro.
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