Da Paese elogiato a maggio per la capacità di superare con danni relativi la prima ondata di coronavirus, Israele si trova ora retrocesso nella categoria di quanti faticano a fronteggiare una nuova ondata. Le dimissioni della direttrice della salute professor Siegal Sadetzky hanno confermato ieri gli screzi ai vertici del ministero della sanità.
Buona parte della responsabilità del rapido declino della performance del governo è addebitata dai media a Benyamin Netanyahu. Nelle prime fasi il premier ha delegato al ministero della sanità la gestione della crisi e non ha voluto avvalersi di chi, in apparenza, aveva capacità organizzative ben superiori: il Comando delle retrovie e la Autorità per le emergenze nazionali ('Rachel') che da anni si preparano appunto a gestire situazioni straordinarie.
Ad aprile, grazie a un prolungato lockdown, Israele ha interrotto (a un duro prezzo economico) la catena dei contagi.
Ma nelle settimane seguenti - concordano i media - avrebbe dovuto potenziare l'organizzazione dei test, le indagini epidemiologiche ed il sistema di quarantena. Ancora oggi tutto ciò lascia molto a desiderare. Il personale scarseggia, e quello che è in servizio crolla sotto la mole del lavoro.
Deludente anche il tracciamento elettronico dei malati di coronavirus: la app 'Magen' del ministero della sanità si è mostrata difettosa, la nuova versione Magen-2 (basata su bluetooth e Gps) non è ancora pronta. Anche il ricorso ai sistemi di tracciamento usati dallo Shin Bet (servizi di sicurezza) è insoddisfacente. Era concepito, a quanto pare, per casi specifici, non per il monitoraggio di un Paese intero.
Adesso manda anche avvertimenti infondati. In assenza di misure drastiche immediate - ha avvertito il prof. Ehud Davidson, direttore dei servizi medici 'Clalit' - "fra alcune settimane rischiamo di avvicinarci alla situazione creatasi in Lombardia".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA