La decisione del Bihar, tra gli stati indiani più poveri e popolosi, con 130milioni di abitanti, di tornare in lockdown per due settimane non ha sorpreso: la mappa dell'India, sotto il profilo delle misure adottate per contenere il Coronavirus, risulta più variegata dell'abito di un Arlecchino. Mentre il Paese vive dall'inizio di giugno la fase detta "unlock", con restrizioni previste solo nelle zone di contenimento, i governi dei 28 stati sono liberi di prendere decisioni. E così, come ricostruisce il sito di notizie online Scroll.in, almeno un terzo del paese è attualmente coinvolto in nuove restrizioni e blocchi.
Chiusi dalla settimana scorsa, fino a fine mese, il West Bengala e l'Odisha, chiuse da due giorni, in Mahatrasthra, le città di Pune, Thane e varie aree di Mumbai; in Karnataka è ripartito da oggi un lockdown di una settimana a Bangalore, capitale dell'IT indiano, con 13 milioni di abitanti, mentre nel distretto di Yadgir le restrizioni torneranno in vigore da domani, sempre per sette giorni. Bloccato nei fine settimana tutto l'Uttar Pradesh; chiuse a riccio, in Tamil Nadu, Chennai, la capitale, e la città di Thiruvananthapuram, isolata Guwahati, capitale dello stato nord-orientale dell'Assam. Scroll ricorda tuttavia che la strategia delle chisure "locali", per quanto di scarsa efficacia, non è un'originalità indiana: è seguita da Stati Uniti, Inghilterra e Cina. Secondo il sito, l'aumento vertiginoso dei positivi, che ha portato il paese a superare oggi i 900 mila casi, è da attribuire all'abbandono del "contact tracing". A giugno, il ministro alla Salute aveva chieso di rintracciare e mettere in quarantena, entro 72 ore dalla scoperta della positività, almeno l'80 per cento di chi fosse entrato in contatto col contagiato nei giorni precedenti.
Pratica progressivamente abbandonata e sostituita con l'incremento dei tamponi e dei test. Che, tuttavia, certificano, ma non fermano il contagio.
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