Per i quarantenni la musichetta del cosiddetto Ground Theme di Super Mario bros è praticamente come la celeberrima Madaleine di Proust. Ritrovarsi immersi, al ritmo di questo calypso sintetico, nella propria cameretta a giocare al videogioco della Nintendo con l’idraulico frenetico e tuttofare, è un attimo. Mario, così vuole la leggenda, era nato in realtà in Giappone come Mr. Video ma il fondatore della Nintendo of America, Minoru Arakawa, decise di chiamarlo così per la somiglianza con Mario Segale, proprietario del primo stabilimento Nintendo negli Stati Uniti, in cui negli anni Ottanta si trovava la sede. All’inizio non era nemmeno un idraulico ma un carpentiere che saltellava continuamente. Ma è stato poi anche medico, pilota, tennista golfista e giocatore di baseball. Da qui l’idea di mettere davanti al nome il prefisso super.
Insomma l’idraulico Super Mario è uno straordinario problem solver, cha salta da un campo all’altro, salva principesse e non conosce sconfitte, e così tra il 2011 e il 2012 venne naturale appellare anche Mario Draghi, da poco presidente della Banca centrale Europea, col soprannome di Super Mario: era, per intenderci, l’epoca drammatica delle speculazioni sull’euro che rischiavano in particolare di affondare l’Italia e l’effetto del celebre 'whatever it takes', cioè qualunque cosa serva, lo fece immediatamente paragonare ad un eroe. L’aggiunta poi, che veniva subito dopo, e cioè: 'And believe me, it will be enough', era degna di un film di Sergio Leone o, meglio, di Quentin Tarantino (li abbiamo già citati nella parola di cui ci siamo occupati la volta scorsa, ricordate?).
In realtà l’eroismo surreale e un po’ gotico di Mr. Wolf in Pulp Fiction di Tarantino, certamente un problem solver, è di tipo negativo (togliere, nascondere, occultare: anche pezzetti di cervello umano sparsi ovunque) mentre quello che ci si aspetta da Mario Draghi è positivo: utilizzare proficuamente e correttamente un’opportunità senza precedenti e uscire, rapidamente e senza lungaggini né sprechi, dall’emergenza pandemica. Ma in che senso dunque si è super? La parola, che rimane uguale in tutte le lingue che derivano dal latino, significa sopra ed è prefisso di molte parole derivate dal latino (superficie, superfluo, superstite) e che riecheggia il greco yper (che è poi diventato in italiano moderno iper- come per esempio in ipermercato).
Chi è super quindi sta sopra (come anche il superbo: super e bhos, che è un’ipotetica radice del verbo essere da cui deriva il nostro 'fu') ma anche 'oltre', cioè ad un livello superiore (vedete che torna logica del videogioco…), come ci ricorda non solo Superman ma anche l’annosa diatriba sulla traduzione del tedesco Uebermensch di Friedrich Nietzsche: superuomo, come volevano nazisti e dannunziani, o Oltreuomo come ha preferito tradurre in Italia Gianni Vattimo visto che la parola tedesca è Ueber, che come si nota ha assonanza anche con l’hyper greco.
D’altra parte si può essere super in molti modi. All’alba degli anni ’80, gli stessi del successo di Super Mario, furoreggiava un gruppo dal nome curioso, Supertramp, ovvero super vagabondo. L’idea era presa dall’autobiografia di William Henry Davies, un poeta ammirato tanto dai conservatori georgiani, poeti d’inizio secolo in Gran Bretagna, che da Ezra Pound e intitolata appunto Autobiography of a supertramp, in cui Davies racconta la sua vita vagabonda.
E anche il whatever può essere considerato in modi diversi: quello di Draghi è stato (e presumibilmente sarà) più sobrio e chirurgico di quello con cui si contende certamente la popolarità: il Whatever you want, e tutto il resto, degli Status Quo.
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