Di lei si era parlato all'indomani dell'apertura della crisi come possibile premier, poi il suo nome è stato il più gettonato nel totoministri del governo Draghi. Marta Cartabia, chiamata a guidare la Giustizia, rappresenta il tecnico perfetto, per profilo accademico e istituzionale. Riservata, mai sopra le righe ma assertiva sulla sue posizioni.
Giurista cattolica, allieva di Valerio Onida, è originaria della provincia di Milano, sposata, con tre figli. A fine 2019 ha rotto "il tetto di cristallo", come opportunamente ha sottolineato lei stessa al momento dell'insediamento, diventando la prima donna presidente della Corte Costituzionale. Poco prima che il suo incarico fosse ufficializzato, a un seminario sull'uguaglianza ha esortato le donne che puntano alla parità a far valere la propria diversità, mettendo in guardia sulle quote rosa, perché "misure paternalistiche possono prolungare nel tempo gli stereotipi".
Cartabia è arrivata alla Corte Costituzionale nel 2011, a solo 48 anni, chiamata da Giorgio Napolitano, è la terza donna a farne parte e la prima a diventare presidente. Può contare sulla stima del presidente Mattarella, maturata nel comune lavoro come giudici delle leggi. I due sono stati anche vicini di casa, dirimpettai, alla foresteria della Consulta. A volte cenavano al ristorante, "un po' come studenti fuorisede", come ha raccontato lei stessa in una intervista.
Alla Consulta è stata relatrice di importanti sentenze su questioni che spaccano l'opinione pubblica, come quella sui vaccini, con la quale la Corte ha stabilito che l'obbligo non è irragionevole. Un concetto ribadito anche oggi, in un intervento all'Accademia dei Licei, alle celebrazioni per i 700 anni dalla morte di Dante. Riflettendo sul rapporto tra scienza, diritto e politica, ha fugato ogni dubbio: "Se c'è una pandemia in atto è possibile arrivare a questo strumento, che è il volto più duro del diritto". Ha dato una speranza ai detenuti, proseguendo il viaggio per portare la costituzione nelle carceri italiane.
Dagli incontrati nelle carceri ha imparato che "ogni storia e ogni uomo ha alle spalle qualcosa di unico, per questo la pena non deve dimenticare l'unicità di ciascuno". Era da poco tornata alla vecchia passione, l'insegnamento, in piena emergenza Covid. "La pandemia - ha detto ancora ai Lincei - ci ha posti disarmati di fronte all'imprevisto e all'imprevedibile. Ora siamo soggetti a variabili indipendenti dalla nostra volontà che gravano come un'ipoteca". "L'emergenza sanitaria sta portando un'emergenza esistenziale alla quale sono esposte le nuove generazioni" ma hanno bisogno di buoni maestri perché "toccherà loro la ricostruzione. Per questo credo che la scuola e le agenzie formative siano la priorità delle priorità".
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