Nella seconda metà degli anni ’60, nella cosiddetta swinging London, mentre tutto cambiava rapidamente e la parola d’ordine era sperimentazione e dagli Stati Uniti stava arrivando l’onda del Flower power, l’esaltazione hippie della non violenza trasmessa anche attraverso l’uso di abiti dai colori sgargianti e di fiori nei capelli, il colore nero poteva avere una sola connotazione: il negativo, la tristezza, la depressione. Mick Jagger scrisse il testo di 'Paint it Black', una delle canzoni più note dei Rolling Stones, pensando e descrivendo il dolore e lo choc di chi ha perso improvvisamente una moglie, un’amante o un’amica. Un esempio ben riuscito, anche grazie al tono sempre un po’ minaccioso della voce di Jagger anche su una melodia molto pop, di uso del colore come metafora.
Sono passati 60 anni e si capisce: nell’epoca del trionfo del minimalismo, delle linee pulite ed essenziali, di figure e ambienti dove il nero mette tutti d’accordo, quel colore è soprattutto simbolo di eleganza, rigore, equilibrio. Fino al punto di generare l’amara ironia di un titolo che senza questo contesto sarebbe incomprensibile: 'Orange is the new black' è una fortunata serie tv che racconta la storia di una donna passata dall’agiatezza di Manhattan, dove il nero è di rigore, alla dimensione del carcere dove l’unico abito che si può indossare è, appunto, arancione, colore caldo e solare per antonomasia eppure destinato a chi deve vivere in costrizione, lontano dalle gioie, dai fasti, dall’ottimismo della vita precedente.
E’ il destino del colore, una delle esperienze primarie dell’essere umano che continuerà ad esserne affascinato e condizionato per tutta la vita, di essere utilizzato come metafora e di entrare, anche per questo, in molti modi di dire: da 'la verità ha un solo colore' (salvo scoprire, in tanti momenti della nostra vita, che è proprio il contrario: la verità ha mille sfumature) a 'farne di tutti i colori' che nel migliore dei casi significa aver attraversato fasi ed esperienze diverse. Il colore ci accompagna e segna la nostra esistenza fin dai primi mesi: il bambino inizia a percepire perfettamente i colori dal quarto mese di vita e i colori lo accompagnano nel processo di percezione e di crescita. La pedagogia in generale e in particolare quella steineriana, derivata dagli studi di Rudolf Steiner, attribuisce grande importanza all’uso del colore (come si capisce entrando in un qualunque asilo o nella stanza di un bambino: dai cerchi ai cubi a tutti gli altri i giochi ideati per i neonati e bambini è tutto un trionfo del colore). Steiner, vissuto a cavallo tra '800 e '900, non esattamente uno scienziato – è considerato il fondatore dell’antroposofia, una dottrina piuttosto controversa – è certamente il precursore della moderna cromoterapia, della quale non sembra si possa fare a meno non solo in qualunque spa ma anche in molte pratiche al legate benessere e alla salute anche psicologica. La questione essenziale comunque per Steiner è che i colori permettono al bambino di sperimentare le emozioni che essi stessi suscitano: la forza se è il rosso, la vitalità se è il verde, la tranquillità dell’azzurro.
Il rapporto tra colori ed emozioni, la loro connessione con la dimensione che siamo soliti definire spirituale era già stata al centro di riflessioni e scritti che hanno fatto epoca, dalla Teoria dei colori di Goethe allo Spirituale nell’arte di Kandinsky. Il gioco legato ai colori, al loro possibile significato e alla loro capacità di incidere in qualche modo sulle nostre vite ha affascinato alcune delle figure più rilevati dell’arte e del pensiero moderno. 'Il colore, come la musica, si serve di una scorciatoia per raggiungere i nostri sensi', ha scritto Philip Ball, autore di un libro dal titolo 'Colore. Una biografia'. E in 'Cromorama' l’italiano Riccardo Falcinelli, grafico, spiega che il colore informa, seduce, narra, distingue, valorizza e gerarchizza, proprio come nella mappa delle regioni al tempo del Covid (perché Hitchcock usa tanto il verde e Flaubert veste Emma Bovary di blu?).
E, come abbiamo visto, anche la musica ha usato il riferimento al colore per trasmetterci sensazioni. Uno dei più noti, importanti e fortunati gruppi rock di sempre, i Pink Floyd (che guarda caso hanno un colore nel nome), nel loro disco più celebre, 'The Dark Side of the Moon', che in copertina riporta l’immagine di una luce bianca scomposta in diversi colori da uno spettro (a richiamare il bianco come somma dei colori, contrapposto al nero come loro assenza), dedicano un brano ironico ai colori: si intitola 'Any colour you like', è totalmente strumentale, e, secondo la spiegazione di Roger Waters, bassista compositore e leader del gruppo, si ispira ad un’idea di angoscia legata al fatto di potere e dovere scegliere tra qualunque colore mentre in realtà il colore è uno solo.
E anche l’origine della parola è legata al nero: è il sanscrito kalanka che significa macchia, in latino macula, il cui significato in origine è vuoto, lacuna, assenza. In greco kelis è macchia e kelainòs è nero, oscuro. Ma tanto poco la verità può essere di un solo colore, quanto i colori stessi possono cambiare. E a farli cambiare sono le nostre emozioni, come canta Fabrizio De André in Amore che vieni, amore che vai.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA