Il 27 maggio 1979, in un caldo tramonto romano, a Guillermo Vilas, sconfitto da Vitas Gerulaitis dopo una battaglia di oltre 5 ore sui campi di terra battuta del Foro Italico (a quell’epoca la più lunga finale di tennis di sempre), venne chiesto se si sentiva triste. Al terzo set era in vantaggio per due a uno, tutti set finiti al tie break, ma, nonostante la sua giusta fama di pedalatore terricolo, implacabile nel tenere il gioco da fondo campo, fu schiantato negli ultimi due set dal ben più irregolare Gerulaitis, leggero, mingherlino, figlio di emigrati lituani in America, amante della bella vita e certamente più fantasioso. Vilas, in quegli anni stabilmente tra i migliori 5 giocatori del mondo, noto per quel tennis regolare, per la capigliatura selvaggia trattenuta da una fascia più larga di quelle che si usavano normalmente, e, di lì a poco, anche per la fuga d’amore caraibica con Carolina di Monaco, rispose sorprendendo l’interlocutore: ‘La felicità non può essere legata ad un singolo momento’. La reazione del cronista sportivo fu spiccia: ‘Vilas filosofeggia’. Non sappiamo quanto consapevolmente ma quel cronista aveva ragione.
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La domanda su cosa sia la felicità infatti e su come trovarla tormenta l’uomo da quando ha cominciato a riflettere su stesso e sul mondo ed è probabilmente, in ordine di tempo, seconda solo alla madre di tutte le domande, quella sull’essere e il nulla: perché c’è qualcosa e non c’è invece il nulla? Ma è evidentemente considerata così decisiva per la nostra stessa esistenza da essere stata inserita tra i diritti fondamentali dell’uomo, insieme alla tutela della vita e a quella della libertà, nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti scritta dalla Commissione dei cinque guidata da Thomas Jefferson nel 1776. Più che alla felicità, per la verità, il diritto che la dichiarazione garantisce è alla ricerca della felicità, come ci ha ricordato con una parabola tratta da una storia vera, il film di Gabriele Muccino del 2006 intitolato proprio così.
Dalla fine dell’800 però uno degli incipit più famosi della storia della letteratura, quello di Anna Karenina di Lev Tolstoj (‘Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo’) ci ha come ipnotizzato e inchiodato ad un’idea convenzionale, borghese, gelida della felicità mettendo una sorta di pietra tombale sulla possibilità di definire e circoscrivere la dimensione personale dell’essere felici e segnalando una volta e per sempre l’indecifrabilità di un concetto di per sé già molto generico e aleatorio.
Forse per difenderci da questa frustrante inafferrabilità, oltre 200 anni dopo possiamo esibire un catalogo perfino eccessivo di luoghi, situazioni, dimensioni in cui è possibile rintracciare l’autentica felicità con conseguente ipertrofico elenco di manuali di istruzioni per essere felici: nel cibo, nella natura, nell’ecologia come sostiene Tristan Lecomte, consulente del World Economic Forum, manager che promuove il finanziamento della riforestazione del mondo, nella decrescita, secondo l’espressione che ha reso celebre Serge Latouche, il quale ne parla come di una scommessa, nella gioventù ritrovata, nel consumo sfrenato, perfino in un intestino che funziona correttamente (‘L’intestino felice’ si intitola un best seller di Giulia Enders, giovane dottoressa, biologa e scrittrice tedesca).
Ma la domanda chiave è sempre quella con cui indirettamente Guillermo Vilas interrogava di rimando l’ignaro cronista: la felicità è forse da qualche parte precisa?
La musica l’ha collocata un po’ ovunque, in una pistola fumante in ‘Happiness is a warm gun’, uscita dalla testa e dalla penna geniale di John Lennon, una delle canzoni forse più folli e irregolari dei Beatles, o in un lungo inventario di situazioni dolciastre e ingenue come in ‘Felicità’ di Al Bano e Romina Power (tenersi per mano, un cuscino di piume, un bicchiere di vino con un panino ecc). D’altra parte la stessa radice della parola, che deriva da felix, è fe- che indica fertilità, nutrimento abbondanza. In un volumetto sulla Felicità, della serie dedicata alle domande della filosofia, Maurizio Ferraris, fa l’esempio della felicità istantanea che non può mai essere vera felicità, come la sigaretta del condannato a morte dopo quale arriva la fine, di tutto e dunque anche di ogni felicità: ‘Ecco che ci accorgiamo che per pensare alla felicità dobbiamo allargare l’orizzonte della nostra considerazione all’intera vita […] Una vita felice, infatti, non è semplicemente una successione di minuti, ore e giorni vissuti con animo lieto, è piuttosto una vita piena e realizzata’, qualunque cosa questo significhi per ognuno di noi e senza dimenticare che parliamo pur sempre di chimica: ‘Felicità: regolato scorrimento di lubrificanti endocrini’ era infatti la definizione dell’iconoclasta Ezra Pound.
Per questo può essere facile o difficilissima, come forse intendevano i Talk Talk nella loro ironica ed amara ‘Happiness is easy’.
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