All’inizio degli anni ’80, da quello che allora era il tocco magico di Steven Spielberg, tra le molte altre cose uscì anche un film destinato a diventare un piccolo cult dell’horror famigliare e sociale: Poltergeist-Demoniache presenze, diretto da Tobe Hooper ma sceneggiato e prodotto dal regista di ET. I poltergeist sono, dal tedesco, gli spiriti rumorosi e fracassoni che fanno muovere gli oggetti. Qui, a datare il film come un tipico prodotto di quegli anni, provenivano dal televisore, individuato come origine di tutti i mali e causa disgregante del nucleo famigliare, e rapivano una bambina. Allora le presenze erano demoniache, secondo l’estensione italiana del titolo, perché in realtà non si vedono, sono presenti senza, apparentemente, esserci. Quella che invochiamo oggi invece, come ha detto il presidente del Consiglio Mario Draghi, deve farci uscire dalla solitudine per riconquistare la vita sociale.
Ecco dunque ancora una parola che appena nominata sembra rimandare, e in modo non marginale, al suo contrario. Nel mondo liquido del digitale e delle app, dei collegamenti on line e delle quarantene passate a interloquire, si fa per dire, con chef che spiegano ricette o implacabili coach che dettano i ritmi dell’indispensabile parentesi di fitness casalingo, la presenza è stata evocata, è il caso di dirlo, come l’auspicato ritorno ad una normalità in carne ed ossa.
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La scuola in presenza, soprattutto e prima di tutto, che per qualcuno è un rischio e per qualcun altro invece l’autentico sintomo del ritorno alla vita ma anche i vertici politici in giro per il mondo, la polemica sui concerti in presenza, le tanto agognate presenze turistiche. Per non parlare della presenza dell’uomo della quale si torna a parlare come di una minaccia per l’ecosistema, tra cambiamenti climatici e stragi di animali, deforestazione. Michel Onfray, l’intellettuale francese ateo e anarchico che ama la carne e la fisicità, creatore di una università popolare che dispensa corsi a tutti, ha citato di recente l’espressione contrapponendola a distanza, un’altra parola culto dei giorni dell’epidemia, per dire che se non ci riprendiamo la presenza rischiamo addirittura una nuova dittatura, il trionfo della società del controllo grazie ad una sorta di Grande Fratello digitale. Per uno che si definisce materialista leggermente ottimista è una visione forse un po’ troppo apocalittica. Ma che, soprattutto, sembra ignorare una parte importante della stessa espressione presenza.
Basta scorrere, per cominciare, i tanti modi di dire legati alla parola. Nonostante il fatto che il primo significato del termine è il semplice fatto di essere presente in un determinato luogo, di esserci, di assistere a qualcosa o anche di intervenire, noi parliamo di bella presenza, indicando con ciò qualcosa che va oltre l’aspetto oggettivo e fisico in senso stretto, di presenza di spirito (e quasi quasi ricadiamo nel dominio del poltergeist visto che geist in tedesco significa appunto spirito), e d’altra parte diciamo di qualcuno che, pur essendoci fisicamente, non interviene, non dà alcun contributo e non interloquisce, che ‘ha fatto atto di presenza’: esiste dunque anche una presenza passiva che può essere brillantemente, e con risultati migliori, sostituita da una presenza on line. Senza contare che i cattolici parlano di presenza reale del Cristo nell’eucarestia, e certamente non si tratta della stessa presenza dello studente sui banchi di scuola, e che la parola presenza è molto spesso accompagnata da aggettivi come misteriosa, oscura o inquietante: e non sono mai le presenze che invochiamo in queste settimane. E stiamo parlano di una parola che fa parte, secondo le ricerche di Tullio De Mauro e Isabella Chiari, delle 2000 parole del nostro vocabolario di base, cioè quelle usate più di frequente. Una di quelle parole insomma che vengono scritte e pronunciate con la certezza che chi le legge e le ascolta sappia perfettamente di cosa stiamo parlando.
La battaglia forse più fiera, e certamente avventurosa, contro l’idea di presenza come "semplice presenza", l’ha condotta un filosofo che è diventato quasi un nume tutelare delle nostre parole, Martin Heidegger. Quell’idea di presenza (semplice, appunto), che è legata alla etimologia stessa del termine, il latino prae e ens (un ente un qualcosa che sta davanti), è solo uno dei possibili significati e delle possibili declinazioni della parola. In altri termini, non tutto ciò che è presente sta davanti a noi come un oggetto (in tedesco gegenstand, cioè qualcosa che sta di fronte) e la presenza non si esaurisce nello stare di fronte e in carne ed ossa di qualcosa.
Altrimenti le presenze non potrebbero essere oscure, inquietanti o demoniache. A questa espansione del senso della presenza ha certamente pensato Franco Battiato in ‘E ti vengo a cercare’, il brano in cui la presenza dell’altro è qualcosa di indispensabile per capire anche noi stessi. Ogni persona, in altri termini, esiste solo in relazione agli altri: e questo nessun Grande Fratello può togliercelo o controllarlo.
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