La quinta votazione di Montecitorio ha "bruciato" anche la seconda carica dello Stato, cioè la presidente del Senato Elisabetta Casellati. Con il suo nome, proposto a sorpresa ieri notte, Matteo Salvini ha cercato lo strappo basandosi sui voti del solo centrodestra, ma il tentativo è fallito. Casellati si è fermata a 382 preferenze facendo materializzare almeno una settantina di franchi tiratori interni. Ed è esploso così il malessere della coalizione, che ha costretto Salvini a desistere nella seconda votazione. Non ci saranno quindi altri tentativi per la seconda carica dello Stato che esce ferita dallo scrutinio. Una giornata difficile che ha anche registrato l'accusa di aver marchiato le schede per renderle riconoscibili al fine di individuare chi ha "tradito".
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Tanto che Giorgia Meloni furiosa lo ha fatto ben capire: "Fratelli d'Italia, anche alla quinta votazione, si conferma come partito granitico e leale. Anche la Lega tiene. Non così per altri. C'è chi in questa elezione, dall'inizio - accusa la leader di Fratelli d'Italia - ha apertamente lavorato per impedire la storica elezione di un presidente di centrodestra. Occorre prenderne atto, e ne parlerò con Matteo Salvini, per sapere cosa ne pensa". Parole durissime che certificano la lacerazione interna al centrodestra dopo il flop di Elisabetta Casellati. Infatti nella seconda chiamata odierna il centrodestra cambia e si astiene mentre il centrosinistra vota scheda bianca. E così finisce con un nulla di fatto anche la sesta votazione.
Piovono dal centrosinistra le accuse di irresponsabilità per aver mandato al massacro la seconda carica dello Stato e ora si ricomincia con riunioni, contatti e telefonate. Ma se già era chiaro ieri oggi nessuno ha più dubbi: le prove di forza non funzionano con un Parlamento spaccato come una mela. Ecco quindi che risale il nome di Mario Draghi, resiste quello di Pier Ferdinando Casini e si irrobustisce molto il partito del Mattarella bis. Non si può non notare come i veti all'interno del centrodestra blocchino ancora il meccanismo. A spiegarlo benissimo è Vittorio Sgarbi: "c'è un veto su Draghi di Forza Italia, un veto su Casini di Fratelli d'Italia e un veto su Mattarella di Salvini", chiarisce il critico d'arte. Lo schema sembra ormai essere delineato ed è improbabile che il leader della Lega possa lanciare un ennesimo nome di area dopo aver acclarato che anche dentro il centrodestra i franchi tiratori non mancano. Probabilmente adesso dovrà decidere se sia più digeribile per il suo schieramento Mario Draghi o Pier Ferdinando Casini. L'opzione Mattarella bis, forse la più limpida, rimane complessa. Ci sarebbe da convincerlo e servirebbe una processione al Quirinale.
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