La ragionevolezza, il buon senso, il senno: quello che ha condotto i partiti italiani, di fronte alla costatazione che era impossibile trovare un accordo diverso o forzare la mano con una scelta che non avrebbe ottenuto la maggioranza necessaria, a scegliere di nuovo Sergio Mattarella come presidente della Repubblica.
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Il senno, in inglese tradotto anche con Sense, come nella celebra locuzione che dà il titolo ad uno dei capolavori di Jane Austin, “Ragione e sentimento” (Sense and sensibility), è uno dei possibili significati del termine ragione, che come abbiamo visto, ne ha diversi. Si contrappone così a sentimento (sensibility), dal quale – come canta Enrico Ruggeri in “Rien ne va plus” – potrebbe essere però felicemente contaminata così da essere in qualche modo temperata. È un’idea che risale alle origini della parola, almeno nel significato prevalente che ancora le diamo. E dietro a questa definizione che ha avuto fortuna per duemila anni, segnando con un tratto distintivo e fondante la nostra cultura, e fissando di conseguenza una volta e per sempre anche cosa non è ragione o ragionevole, spaccando così in due il mondo e l’essere umano, c’è ovviamente un filosofo, che ovviamente è greco: quasi altrettanto ovviamente, si tratta di Platone.
Perché la ragione platonica divide il mondo due? La spiegazione migliore (migliore si fa per dire, perché siamo di fronte ad un racconto di fantasia piuttosto complicato per non dire astruso, almeno letto con la sensibilità di oggi) è contenuta nel Fedro, uno dei dialoghi di Platone ed è noto come il mito della biga alata. È sostanzialmente la storia di un auriga, il guidatore di un cocchio, che deve dirigere una biga tirata da due cavalli, uno bianco e uno nero, verso l’iperuranio dove risiede la possibilità della sola conoscenza certa perché lì la ragione, appunto, può contemplare l’essenza delle cose. I cavalli sono due e sono ben distinti non per caso: uno, quello bianco, è volitivo e vuole arrivare in alto, l’altro, quello nero (un po’ come Calimero), tira verso il basso, cioè verso i piaceri della carne e della terra. E qui che l’auriga diventa protagonista: lui rappresenta la ragione che deve tenere a bada il cavallo nero e spronare quello bianco.
È già chiaro dunque che le cose giuste, le cose vere, si trovano in alto, dove non c’è carne né materia ma astrazione, e quelle negative, quelle che ci fanno sbagliare, in basso. Ecco perché i piaceri sono conquiste solo apparenti e anche le conoscenze che possiamo ricavare dai sensi (vedere, sentire, toccare) sono fallaci perché non sono uguali per tutti mentre la realtà vera è solo quella delle idee, dell’essenza, dell’astrazione.
Non è un caso che 23 secoli dopo il solito Nietzsche in uno dei suoi più celebri capitoli del “Crepuscolo degli idoli”, intitolato ‘Come il mondo vero finì per diventare favola’, dirà: se eliminiamo il mondo vero, quello che ci viene spacciato come vero, cancelliamo anche quello apparente, cioè il dualismo la contrapposizione, quella che diamo così per scontata, su cui non abbiamo dubbi, tanto da usarla in romanzi (Jane Austin) o canzoni: è il caso di Ruggeri per esempio ma anche dei Pink Floyd che hanno intitolato un album “A momentary lapse of reason” e questa ‘momentanea perdita di raziocinio’ è quella di due amanti che si abbandonano ai sensi. Gli stessi, potremmo dire, del cavallo nero.
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