Le prime parole pronunciate da Giorgia Meloni dopo la netta affermazione elettorale, sono state ascoltate, interpretate e, come si dice in questi casi, vivisezionate. Anche perché non sono state molte e, anzi, se non fosse stata costretta da alcune circostanze forse ne avrebbe pronunciate ancora di meno.
Dunque è interessante soffermarsi su quelle che ha scelto. Oltre a tutte quelle che ci potrebbero venire in mente per prime (nazione, profilo, competenza, patriota, sovrano ecc) c’è un’espressione che arriva da un passato recente ma mette in primo piano uno dei temi che hanno segnato l’evoluzione della società degli ultimi 30 anni. Meloni, dal palco della Coldiretti, ha detto: ‘Non intendiamo fare da soli, credo nei corpi intermedi’. Cosa voleva dire? E cosa ha risvegliato con l’uso di quella espressione?
I corpi intermedi, espressione che ha una storia lunghissima ma che ha assunto centralità nel dibattito pubblico a partire dalla fine dell’ ‘800, sono in sostanza le formazioni sociali che rappresentano e si autorappresentano in settori o luoghi della società civile: categorie produttive, sindacati, organizzazioni non governative e terzo settore in genere, associazioni. Sono citati nell’articolo 2 della nostra Costituzione, dove si parla della tutela dei diritti dell’uomo “sia come singolo – recita l’articolo - sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità”.
In che senso questi corpi sono intermedi? Perché sono in grado di creare delle reti autonome dallo Stato e dalle istituzioni ma favorendo l’integrazione di un singolo e di un gruppo con la più vasta realtà dello Stato. E sono dunque la voce, dovremmo dire, visto che si parla di corpi, ‘incarnata’ degli interessi reali, concreti, di gruppi sociali che chiedono di essere riconosciuti. Nonostante l’espressione abbia il caratteristico sapore di quello che potremmo definire un linguaggio a metà tra il ‘politichese’ e il sociologico, tipico di chi ha alle spalle una lunga gavetta nelle formazioni politiche tradizionali, a risaltare è soprattutto l’espressione ‘corpo’, che costituisce un voluto richiamo alla concretezza, alla carnalità e quindi anche alla sofferenza, al dolore, alla verità.
E’ un concetto di corpo che la storia delle idee e anche la scienza hanno in realtà in parte superato ma che ha a sua volta una storia millenaria alle spalle, tanto da essere un’altra di quelle parole fondanti della nostra cultura e del nostro modo di pensare e dunque di esprimerci. In fondo è proprio questo che intendiamo quando diciamo che qualcosa è ‘inciso nel nostro corpo’ o quando sentiamo un campione come Roger Federer dire: ‘Ho imparato ad ascoltare il mio corpo’.
Perché, come ricorda il titolo di un libro, uno fra i tanti degli ultimi decenni ispirati ad una concezione positiva e olistica della corporeità, ‘il corpo non mente’ (di Luciano Marchino e Monique Mizrahil, psicoterapeuta il primo, counselor e docente di psicologia somatica la seconda). E il sottinteso è che la menzogna, in caso, appartiene a qualcun altro: alla mente (un pericoloso intruso secondo chi pratica la meditazione, un tentativo destinato al fallimento, secondo il buddismo, di afferrare la realtà per rassicurarci), all’intelletto, alla razionalità, all’astrazione (nel caso della Meloni potremmo dire: alla politica distante dalle persone) e che, se vogliamo davvero comprenderci e guarire dai nostri disagi (di qualunque natura essi siano) è necessario ascoltare il corpo. E’ evidente che di acqua sotto i ponti da quando Platone definiva il corpo ‘la tomba dell’anima’, ne è passata parecchia.
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