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La parola della settimana: Parola (seconda parte)

La parola della settimana: Parola (seconda parte)

di Massimo Sebastiani

11 settembre 2023

Redazione ANSA

ANSACheck

parola (seconda parte) - RIPRODUZIONE RISERVATA

parola (seconda parte) - RIPRODUZIONE RISERVATA
parola (seconda parte) - RIPRODUZIONE RISERVATA

Perché le parole sono importanti, perché dobbiamo averne cura e sceglierle attentamente? Perché si parla di responsabilità (Il podcast) delle parole?  Se proprio non sono pietre, certamente le parole incidono e soprattutto il loro uso costante, la loro ripetizione può generare una determinata percezione della realtà e in qualche caso anche crearla. Nella prima parte di questo podcast abbiamo citato, fra gli altri, due esempi. Uno era quello della parola lanzichenecchi, usata da Alain Elkann per descrivere un gruppo di giovani ragazzi incontrati su un treno e secondo lui rumorosi, maleducati, ignari della presenza degli altri ed era, come è evidente, un modo voluto per sovradimensionare il fenomeno, per dare un’immagine orripilante e minacciosa non solo di alcuni individui ma probabilmente, per estensione, di una intera categoria. I lanzichenecchi, come qualcuno ha avuto modo di spiegare dopo la comparsa dell’articolo di Elkann, altro non erano che soldati mercenari tedeschi del periodo rinascimentale (letteralmente ‘servi del paese’, Landsknecht), la cui tenebrosa fama si deve alla violenza e crudeltà che dimostravano contro i nemici e, come scrive l’enciclopedia Treccani, ‘furono i tristi eroi del barbarico sacco di Roma del 1527’. Il secondo esempio che abbiamo fatto la settimana scorsa è quello del termine amicizia, che, nell’evoluzione della società e dunque della lingua, si è come scolorito e annacquato, soprattutto per come è usato in relazione al social network più famoso (si dice ‘siamo amici su Facebook), e su cui per questo è tornato a fine agosto il presidente della Repubblica Mattarella. E dunque: sono solo parole

 

Michela Murgia, nel suo contributo per il libro ‘Cose spiegate bene’ del Post dedicato al giornalismo e intitolato ‘Un modo diverso’, cita il caso di Giorgia Meloni che, appena diventata premier, ha chiesto che la sua carica venisse declinata nella forma maschile.  ‘Con la sua nota di protocollo – scrive Murgia – Giorgia Meloni ha dimostrato che le parole che usiamo per definire la realtà sono invece talmente importanti che, quando riguardano noi, diventano la prima cosa di cui ci interessiamo’. Le parole sono così importanti e così pesanti che possono essere pietre (‘hai usato parole pesanti’ è uno dei tanti modi di dire che le coinvolgono e infatti si dice anche ‘pesa le parole’). O, a sorpresa, possono essere al centro di contenziosi economici anche giganteschi. E non solo perché la diffamazione, cioè il danneggiamento della reputazione di qualcuno attraverso le parole, può portare ad una causa che finisce con l’obbligo di risarcire economicamente la persona offesa, ma anche perché a volte scegliere una parola piuttosto che un’altra può valere milioni se non miliardi.

 E’ Stephen Pinker, lo psicologo e neuroscienziato che abbiamo citato nella prima parte di questo podcast, a spiegarlo nell’apertura del suo libro Fatti di parole in cui parla di quello che definisce ‘il dibattito meno noto’ introno all’11 settembre. ‘Quanti eventi esattamente ebbero luogo a New York quella mattina di settembre’, si chiede. Potrebbe sembrare una domanda oziosa, anzi, come scrive Pinker, ‘frivola fino all’impudenza’. Una questione di mera semantica, solo parole appunto. Eppure è una domanda, spiega Pinker, che vale tre miliardi e mezzo di dollari: ‘era la somma in ballo in una serie di vertenze giudiziarie volte a stabilire quanto le assicurazioni dovevano a Larry Silverstein, affittuario del World Trade Center’. In tribunale i legali, che sostanzialmente dovevano stabilire se il risarcimento fosse per uno o due eventi, dunque tre miliardi e mezzo o sette, discussero in aula del significato della parola evento. Con il dovuto rispetto, Martin Heidegger, che sulla parola Ereignis ha fondato buona parte della sua seconda fase filosofica, ne sarebbe stato orgoglioso o forse avrebbe sorriso sotto i baffi (che aveva davvero, non è un modo di dire) nella tranquillità della sua modesta baita di legno a Todtnauberg nella Foresta Nera.

Le parole, oltre a poter essere pietre, come aveva detto e scritto Carlo Levi nel racconto omonimo, possono valere molto, come dimostrò la controversia in tribunale. Altro che mere parole. ‘Non c’è nulla di ‘mero’ in semantica ‘ scrive Pinker. E conclude: ‘Le categorie usate in questa controversia permeano i significati delle parole nella nostra lingua perché permeano il modo in cui ci rappresentiamo la realtà nella nostra testa’.   

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