Gabrielle (Marion Cotillard) è una donna inquieta, presa da grandi passioni, anche erotiche. Per la piccola comunità agricola vicino Lione dove è cresciuta, è uno scandalo. E' un po' matta. In un'epoca, gli anni '50, in cui le ragazze sono destinate al matrimonio, lei è diversa. In 'Mal de pierres', tratto dal romanzo di Milena Agus (Mal di pietre, edito da Nottetempo), l'attrice e regista Nicole Garcia porta sulla Croisette in concorso per la Francia questo personaggio dai toni romantici declinati, specie nel finale, al melò. Va detto che la storia di Gabrielle non nasconde troppo la sua natura. Non mangia a tavola, ha amori immaginari e anche una deriva mistica. Chiede a Dio: "Quella cosa tu me la devi dare".
E per quella cosa intende l'amore. Vista la sua labilità, i genitori la fanno sposare con Josè (Alex Brendemuhl), un uomo solido quanto malinconico, appena sfuggito alla guerra civile spagnola. Tutto sembra funzionare, senza troppa passione, tra i due finché Gabrielle si ricovera per un periodo in una clinica termale per curare i suoi calcoli renali.
Qui incontra un fascinoso tenente in cura per una grave malattia, André Sauvage (Louis Garrel), di cui si innamora perdutamente. Gabrielle ringrazia Dio ed è pronta a tutto per lui che le promette eterno amore. A fine cura, però, la donna torna a casa dal paziente marito e gli dice di essere incinta, che vuole andarsene, ma nel frattempo André non risponde più alle sue lettere. Dov'è finito André? Esiste davvero? "Il destino di questa donna incarna per me la forma dell'immaginario, la potenza creatrice di cui noi tutti siamo capaci quando abbiamo grandi aspirazioni e i nostri sentimenti ci conducono all'estremità di noi stessi", dice la Garcia oggi a Cannes. E ancora la regista: "Qualche cosa nella follia delle donne mi attira, in quanto portano in loro stesse quella fragilità, quel continuo tentennare fino al rischio di una catastrofe".
Spiega invece la Cotillard: "Ho esplorato con questo personaggio la passione di una donna senza mezzi termini, che la vive ai confini della follia. C'è in lei una sorta di animalità. Mi piaceva la sua voglia di libertà e il fatto che mi ha messo a confronto con cose che non avevo mai esplorato". "Quando accetto di fare un film - sottolinea ancora l'attrice - è come innamorarmi di qualcuno, ci penso tutto il giorno ossessivamente, è come legarmi a una persona. Ma non c'è un metodo che applico a tutti i film: ogni volta è un mistero. La prima cosa che mi interessa sapere del personaggio che interpreto è come ha vissuto la sua infanzia. E va detto che io ho vissuto una giovinezza ideale che mi ha reso una donna libera". Quanto al personaggio di Josè, "si può dire che lei lo utilizza. Diventa, per lei, un modo per scappare dalla famiglia. Mentre lui, che la sposa solo per interesse non amandola, alla fine si ritrova a volerle bene, ad amarla".