Tra i tanti messaggi lanciati in questi giorni da Papa Francesco nel deserto di una piazza e di una città letteralmente stravolta, come le altre, dalle misure per il contenimento dell’epidemia da Covid 19, ce ne è uno che dietro il riferimento ad un apparente luogo comune, quello della barca in mezzo alla tempesta in cui tutti ci troviamo, ci permette di fare un viaggio ricco di riferimenti intorno ad una parola, come spesso succede, semplice: la parola barca.
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Due anni fa quella frase campeggiava nel manifesto preparato dall’artista Marina Abramovic per l’edizione della Barcolana a Trieste.
Il riferimento, per niente implicito, era ai migranti. Ispirazione ripresa in questi giorni da una giovane artista fiorentina che ha realizzato manifesti in cui è lei ad avere in mano la bandiera con la scritta e sullo sfondo il segnale che nel codice nautico internazionale indica le navi in quarantena. E d’altra parte, è stato proprio il Papa a volere a piazza san Pietro lo scorso anno in occasione della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato una scultura in bronzo che rappresenta una barca carica di migranti di ogni epoca. Francesco ha alle spalle un copyright prestigioso e antichissimo: dall’Arca di Noè, quella del Dio iroso e un po’ vendicativo dell’Antico Testamento, alla barca dei pescatori sulla quale Gesù si siede per parlare alla folla che si è radunata in riva al mare per ascoltarlo nel Vangelo di Marco alla Chiesa stessa, definita appunto la barca di Pietro.
Ma non si tratta di un copyright esclusivo: si contano più di duecento racconti che provengono da varie culture e continenti e che hanno al centro il diluvio e la barca salvifica. Il primato della versione più antica spetta alla civiltà sumerica, che regnò nell’attuale Iraq, in Mesopotamia, dalla fine del VI millennio all’inizio del II millennio a.C. Secondo i Sumeri, il Diluvio fu causato dai litigi tra gli dei, che, come abbiamo già visto in questa rubrica, non erano esattamente dei tipi tranquilli. Per quanto ne sappiamo, la barca come mezzo di trasporto affonda le sue radici nella civiltà egizia: le prime barche conosciute furono realizzate tra il 5000 e il 3500 avanti Cristo con piante di papiro e usate per il trasporto fluviale. Gli stressi Egizi ne fecero non a caso un simbolo potente: il veicolo degli Dei. La barca solare è infatti quella guidata dal dio Ra che attraversa il cielo trasportando e rigenerando ogni giorno il sole, simbolo dunque di rinascita o, come vorremmo forse dire oggi, di ripartenza. Dunque l’immagine della barca è in realtà affollata di simboli: il viaggio, la volontà, la trasformazione, il timone e il timoniere, la capacità di decidere e di andare oltre, il coraggio ecc. E infatti la psicanalisi, secolarizzando mitologie e religioni, se ne è subito appropriata: la barca rappresenta l’archetipo del viaggio e del divenire e tutto l’apparato simbolico che si porta dietro è oggetto dell’interpretazione dei sogni nei quali spesso ricorre. E’ anche uno dei simboli citati nel misterioso Libro Rosso di Jung ed è accostata alla culla che ci avvolge, in una immagine suggerita da Gaston Bachelard.
L’origine della parola barca, che è del tardo latino, risale alla voce egizia bari, e questo non ci sorprende per quello che abbiamo detto prima. Sia questa che il greco baris fanno riferimento alla radice indo-europea bahr che significa portare e questo la riconduce al secondo significato del termine barca cioè carico, quantità di materiali. L’idea del trasporto e del viaggio si è immediatamente legata a quella del passaggio e della trasformazione (anche del passaggio da una vita ad un’altra, da un piano all’altro, da una situazione ad una diversa, il cui simbolo ineguagliabile è la barca del traghettatore per eccellenza, quel Caronte che porta le anime dei morti nell’oltretomba). E come in tutti i viaggi e come in tutti i passaggi, sulla barca che solca il fiume, che sia il Nilo fecondo e produttivo o l’Acheronte che separa dagli Inferi, il mare, placido o in tempesta, si rivela, come ha capito la psicanalisi, la personalità di un individuo.
La retorica, ampiamente giustificata, della vita in barca, con le sue difficoltà, la sua capacità di rivelare i caratteri, il suo costante richiamo alla collaborazione ma anche alla necessità di avere un timoniere che sappia decidere per il bene di tutti, ne è una perfetta incarnazione e non a caso viene usata anche in tanti corsi sulla leadership e la gestione aziendale. Tra i molti contributi apparsi in rete in questi giorni ce ne è uno, a questo proposito, particolarmente appropriato. E’ di un canottiere master di Milano, Giuseppe Lamanna, che in un blog piuttosto seguito non solo nel mondo del canottaggio, ha scritto un post intitolato ‘Come sarebbe bello se il mondo fosse come il canottaggio’, ‘Un luogo dove il talento è un dono prezioso ma il successo un mestiere. Dove non conta essere alti ma all’altezza e dove nessuno viene lasciato indietro soprattutto quando le cose si mettono male e perché nessuno meglio di un canottiere conosce il reale significato dell’espressione essere tutti sulla stessa barca’ visto che si richiede innanzitutto ‘la totale consapevolezza delle responsabilità che questo comporta’, che è un po’ il contrario di quello che cantava in un’Italia ancora spensierata Orietta Berti nella famigerata ‘Finché la barca va. Lamanna forse esagera: il canottaggio non ha l’esclusiva di questa simbologia che invece può essere ricondotta alla barca più in generale dove, come in un piccolo mondo e una piccola comunità, possiamo scoprire e trovare veramente tutto, anche l’amore a un passo dalla morte. Come ci ha raccontato in modo tragico e travolgente un film che è lungi dall’essere solamente un blockbuster, dedicato a quella nave che, lo diciamo senza voler essere blasfemi, si contende con l’Arca di Noè nell’immaginario collettivo il primato di simbolo potente di ogni barca, il Titanic.
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