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In evidenza
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Una rivolta evitata, una rivolta concretamente accennata e una rivolta evocata, anzi proprio invocata: la prima è quella che si temeva si sarebbe potuta verificare con la sconfitta di Trump negli Stati Uniti ma, come abbiamo visto, è andata molto diversamente; la seconda è quella, civilissima e solo accennata ma mediaticamente molto efficace, degli spagnoli che a Valencia, dopo il disastro provocato dalla DANA (Depressione isolata nei livelli alti) che ha fatto oltre 200 morti, hanno gettato fango contro il re Felipe e il premier Pedro Sanchez (la rivolta del fango); la terza è quella ‘rivolta sociale’ invocata con convinzione dal segretario della Cgil, Maurizio Landini: ‘Non ho nulla da rettificare, anzi rilancio con forza’, ha detto Landini venerdì 8 novembre replicando a chi gli faceva notare un eccesso almeno verbale per aver usato la parola rivolta.
Quella di cui parla il professor Alessandro Barbero è una rivolta di cui abbiamo qualche memoria scolastica, il tumulto dei Ciompi. Come spiega Barbero, il Medioevo, proprio a causa del forte dislivello delle condizioni sociali, è un periodo ricco di rivolte anche se non di rivoluzioni. Ecco perché Barbero ritiene indispensabile chiarire subito la differenza tra le due cose e lo fa in modo semplice ed efficace: ‘le rivoluzioni sono rivolte che hanno avuto successo’ e d’altra parte poco dopo, nella stessa occasione Barbero spiegherà che ‘per capire come funzionava una società del passato devi capire come loro usavano le parole’, anche se in questo caso la sottolineatura si riferisce all’uso del termine popolo (che non includeva i Ciompi, appunto, il grado più basso della scala dei salariati, quello peggio pagati di tutti). La necessità di questa distinzione, fra l’altro, discende anche dalla storia e dall’etimologia della parola, che è la stessa.
Ci siamo occupati in questa serie di podcast anche della parola rivoluzione e abbiamo ricordato che l’origine è il latino revolvere, ovvero voltare di nuovo, voltare ancora, lo stesso di rivolta che è l’effetto di un rivoltare dalla parte opposta. Col significato che le attribuiamo ancora oggi, rivolta compare per la prima volta nel 1540 in Francesco Guicciardini, quasi due secoli dopo il tumulto dei Ciompi, che avvenne nel 1378. La rivoluzione – secondo la Garzantina di Filosofia - è ‘un qualsiasi sviluppo capace di modificare radicalmente caratteristiche significative dell’organizzazione sociale: in questo senso si parla di rivoluzione, industriale, tecnologica, culturale’. Le stesse profonde modificazioni che la rivoluzione introduce ‘nella distribuzione della ricchezza, del potere e del prestigio sociale’. L’espressione è tornata utile anche per definire, in tempi recenti, fenomeni diversi: dalla rivolta di Occupy Wall Street, obiettivo il turbocapitalismo finanziario, a quelle delle primavere arabe o a quelle, più o meno pacifiche che richiamano l’attenzione distratta dei governi sul cambiamento climatico, da Friday for Future a Extinction Rebellion. Ma cosa distingue la possibilità di avere successo dal non averlo, per restare alla definizione di Barbero? Forse il fatto, come è stato scritto, che la rivolta guarda al presente mentre la rivoluzione al futuro. Resta il fatto che mentre le rivoluzioni sono state accantonate, il mondo pullula di piccole e grandi rivolte: perché?
Torna evidentemente d’attualità, dagli anni ’70-’80 gli è capitato spesso, Albert Camus con la sua distinzione, esistenziale, culturale, metafisica, tra rivoluzione e rivolta contenuta nel suo L’uomo in rivolta, un libro di grande coraggio e tensione morale, uscito nel 1951 e fonte di innumerevoli polemiche, soprattutto da parte della sinistra più radicale, e anche all’origine, per quello che conta, della rottura tra Sartre e lo stesso Camus. Per Camus la rivolta, che è un atteggiamento fondamentale dell’esistenza umana e del suo valore: è creatrice e mira a raggiungere (o ristabilire) un equilibro mentre la rivoluzione è la corruzione di questa idea perché cerca di imporre valori attraverso la violenza. Forse per questo più giovani si concentrano sulle rivolte piuttosto che sognare improbabili rivoluzioni. Quando uscire da un senso di oppressione, come hanno cantato i Muse, sembra impossibile ma ognuno ha la forza per ribellarsi.
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