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Il seme del fico sacro, il pugno di Rasoulof all'Iran

Il seme del fico sacro, il pugno di Rasoulof all'Iran

Il regista: "Attraversando il confine mi sono detto, tornerò"

CANNES, 24 maggio 2024, 17:58

Francesco Gallo

ANSACheck

Mohammad Rasoulof e Golshifteh Farahani © ANSA/AFP

Se Mohammad Rasoulof voleva dare un pugno all'Iran ci è riuscito. Il seme del fico sacro (The Seed of the Sacred Fig), passato oggi in concorso al Festival di Cannes, è una denuncia del regime del suo Paese ancora più efficace perché vista dall'interno di una famiglia di Teheran.   Certo non una famiglia qualsiasi, ma perfetta per rappresentare quella parte di società iraniana, borghese e benestante, che mostra sempre più intolleranza verso ogni costrizione e ha solo voglia di aprirsi alla modernità. Per il regista dissidente, riuscito a fuggire clandestinamente dal regime di Teheran, standing ovation al Gran Théâtre Lumiere in occasione della proiezione ufficiale del film: "Quando stavo attraversando il confine, mi sono girato, ho dato un'ultima occhiata alla mia terra natale e ho pensato 'ci tornerò'. Penso che tutti gli iraniani che sono dovuti partire a causa del regime totalitario tengano una valigia pronta a casa, nella speranza che le cose migliorino", ha sottolineato.

Al centro del film, la famiglia del neo-giudice della Rivoluzione, Iman (Missagh Zareh), un uomo di circa cinquant'anni con moglie Najmeh (Soheila Golestani) e due figlie: Rezvan (Mahsa Rostami) e la più piccola Sana (Setareh Maleki). Iman ha da poco ricevuto l'incarico di giudice e così allo stesso tempo deve essere zelante nel suo lavoro e stare attento a non diventare bersaglio dei militanti anti-regime in grande agitazione nelle strade della città (nel film molte le sequenze di scontri in tv), che potrebbero minacciare lui e la sua famiglia. Così all'uomo viene affidata d'ufficio anche una pistola perché possa difendersi in caso di pericolo. Ora, va detto, Iman sembra proprio essere una brava persona, un magistrato capace di andare in crisi quando deve mettere la sua firma per un mandato d'esecuzione, ma certo ha le sue rigidità, crede fermamente al rispetto delle regole ed è un uomo molto religioso che prega sempre al mattino.

Per quanto riguarda moglie e figlie, sono mille anni luce avanti, ognuna nella misura della loro età. La moglie segue la tradizione, ma è sicuramente più aperta del marito, mentre le figlie sono divise tra social, selfie, voglia di farsi i capelli blu e adesione, anche se non in modo diretto, alle ragioni di chi si scontra in piazza. Fin qui tutto bene nella famiglia di Iman, ma quando la sua pistola svanisce nel nulla, tutto cambia, diventa poliziotto.  Sospetta subito di moglie e figlie, imponendo loro anche un umiliante interrogatorio da parte di un suo collega psicologo, e questo mettendo a dura prova i legami familiari fino al tragico finale. Il seme del fico sacro è un film molto potente e dalla doppia anima: una parte iniziale più distesa, e ancora tendenzialmente tollerabile per un'eventuale censura, e poi invece, in chiusura, una denuncia piena del regime degli ayatollah senza sconti. Sul tappeto rosso e poi in sala, il regista ha mostrato le foto di due dei suoi attori principali, Missagh Zareh e Soheila Golestani, mentre è salito sulla la Montée des marches al fianco dell'attrice iraniana Golshifteh Farahani, che vive in esilio in Francia da circa quindici anni.
   

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