Un numero, il 174.541, ha marcato la vita di un ginnasta olimpionico ferrarese. Quello che lo ha indentificato al campo di sterminio di Auschwitz dove è stato ucciso nel 1944, deportato sul convoglio n.8 dal campo modenese di Fossoli. Prima di allora, la storia di Gino Ravenna, nato a Ferrara il 30 agosto 1889, era stata segnata soprattutto da trionfi sportivi. In occasione della Giornata della Memoria, la Palestra Ginnastica Ferrara Asd vuole rendere omaggio all'"unico olimpionico italiano morto ad Auschwitz": fu uno dei 29 campioni incaricati di rappresentare l'Italia nel concorso generale di ginnastica artistica a squadre ai Giochi Olimpici di Londra 1908, dove gli azzurri ottennero un buon sesto posto.
A ricostruire i fatti, in un documento che appartiene all'Archivio Storico Palestra Ginnastica Ferrara, è Mirko Rimessi. Per Gino, come per tantissimi ebrei italiani, la vita si sconvolse l'8 settembre 1943: "Prima si rifugiò nella frazione di Albarea, ma l'arresto del figlio Eugenio, detto 'Gegio', l'8 ottobre fece precipitare gli eventi - racconta Rimessi - Dopo aver provato invano di farlo scarcerare, la famiglia tentò la fuga in Svizzera ma, arrestati a Domodossola, finirono prima nel carcere di via Piangipane, per poi essere condotti, l'11 febbraio 1944, al Tempio di via Mazzini 95, trasformato in campo di concentramento provvisorio per pochi giorni, in attesa che il nuovo rastrellamento degli ebrei ferraresi si tramutasse nel trasferimento a Fossoli". Poi il viaggio atroce di quattro giorni verso la Polonia. Il figlio Gegio fu "uno dei soli cinque ebrei ferraresi sopravvissuti al campo di sterminio di Auschwitz, grazie alla liberazione russa del 27 gennaio 1945". Secondo la testimonianza di Eugenio, Gino era riuscito a restargli accanto lavorando per un mese e mezzo.
"Per alcuni giorni rimase nella baracca - prosegue il racconto di Rimessi - ma al terzo giorno Gegio non lo trovò più. Un deportato che parlava italiano gli riferì che da poco Gino era stato prelevato. Prima di lasciare la baracca gli aveva raccomandato di dire al figlio che lo salutava e di tener duro. Solo che in quel terzo giorno il camino aveva ricominciato a fumare".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA