CONFINE TRA LIBANO E ISRAELE - E' al mattino presto che gli abitanti libanesi della zona di confine con Israele, da due settimane teatro di giornalieri scambi di fuoco tra Hezbollah ed esercito israeliano, si spingono fuori dalle loro abitazioni, a due passi dal fronte di guerra, e sbrigano frettolosamente le faccende di ogni giorno.
"Passiamo le notti insonni per i boati dei bombardamenti israeliani", racconta all'ANSA Joseph, abitante di Rmeish, una delle poche località a maggioranza cristiana della Linea Blu di demarcazione con Israele.
La giornata di guerra solitamente comincia all'ora di pranzo con i primi lanci di razzi contro le linee di difesa israeliane da parte di Hezbollah o delle milizie locali - Hamas, Jihad islamica, Jamaa Islamiya - cooptate dal partito filo-iraniano.
Poco dopo, iniziano i raid di artiglieria israeliani in direzione delle zone libanesi da cui sono partiti i primi spari.
E in poche ore si infiamma tutta la linea del fronte sud libanese, dal Mediterraneo fino al Golan siriano.
"Chi ha potuto è già andato via, a Tiro, nell'entroterra, sul Monte Libano, a Beirut e ancora più a nord", racconta Umm Sara, anziana abitante di Marwahin, villaggio teatro nella guerra del 2006 di un massacro di civili compiuto durante bombardamenti israeliani.
Il villaggio di Dhahira, uno dei più punti caldi di tutta la Linea Blu, dove si sono concentrati gli scambi di fuoco sin dai primi giorni dell'offensiva a bassa intensità di Hezbollah, ha subìto diversi danni alle case civili. Poco lontano, su una terrazza di un edificio ad Alma Shaab, località vicina alla costa mediterranea, una settimana fa il cameraman libanese dell'agenzia Reuters, Issam Abdallah, è stato ucciso da un proiettile di grosso calibro proveniente dal territorio israeliano.
"La morte di Issam è stato un messaggio chiaro: la Linea Blu è un vero e proprio fronte di guerra", dice Nidal, interprete locale per troupe di giornalisti stranieri. "Non succederà nulla! E' tutto un gioco tra il gatto e il topo tra Hezbollah e Israele", afferma invece Abu Abdallah, ristoratore di Naqura, cittadina sul mare a due passi dalla base Onu che ospita il quartiere generale della missione militare di Unifil.
Abu Abdallah accompagna un casco blu spagnolo nel campo di fronte alla sua casa e al suo ristorante - chiuso da giorni - per individuare il cratere di un colpo di mortaio caduto nelle vicinanze il giorno prima. "Era un proiettile israeliano. Erano le tre e mezza del pomeriggio. Ero sul balcone a fumare", racconta dicendo di non voler nemmeno pensare "a una nuova guerra", in riferimento a quella dell'agosto di 17 anni fa, combattuta per oltre un mese tra Hezbollah e Israele e che costò la vita a un migliaio di libanesi.
A Tiro, il capoluogo della regione meridionale, si concentrano numerose famiglie fuggite dalla zona del fronte. "Ma anche Tiro si sta svuotando", afferma Ghada, che ogni giorno fa la pendolare con Beirut: "Molti abitanti hanno doppia nazionalità e hanno cominciato a prenotare i voli aerei per andare via prima che sia troppo tardi". In prima linea, nel villaggio di Rmeish, il sindaco Milad Alam, afferma di lavorare notte e giorno per "proteggere la cittadinanza". E annuncia con soddisfazione il completamento di un "ospedale da campo" per curare i feriti. "Ci sono 18 letti, abbiamo medicinali e personale per affrontare le prime emergenze". La struttura era stata allestita durante la pandemia. "L'ospedale più vicino è a 15 km. Se la guerra si allargasse, con bombardamenti a tappeto, saremmo di fatto isolati. Dobbiamo proteggerci con quel che abbiamo", afferma il sindaco.
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