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La paura dietro le finestre di Gaza City

La paura dietro le finestre di Gaza City

'Israeliani a 250 metri, senza rifugi ci si ripara nelle scale'

GAZA, 01 novembre 2023, 20:12

Sami al-Ajrami

ANSACheck

Gaza © ANSA/EPA

Gaza © ANSA/EPA
Gaza © ANSA/EPA

Una casa nel rione Sheikh Radwan, Gaza City. E' vicina alla via Nasser, un'occhiata fuori dalla porta chiarisce che le forze israeliane sono a 250 metri. Gli abitanti sanno già bene cosa fare quando la minaccia è così incombente. "Innanzi tutto - dice la padrona di casa - rimuoviamo le finestre. In caso di esplosione vanno in mille pezzi e possono ferirci. Poi verifichiamo che non ci siano ingombri nel luogo più sicuro della nostra casa. E' l'interno delle scale, fra le pareti di cemento". In mancanza di altri rifugi, è il posto piu' protetto a disposizione. Anche lei, come molti altri abitanti del rione, ha scelto di non lasciare la casa e di non evacuare - come intimato da Israele - nel settore meridionale della striscia di Gaza. "Ormai comunque è troppo rischioso: sentiamo spari in tutte le direzioni. Da qui non ci muoviamo".

In serata, davanti ad un fornaio della via Nasser, le persone in coda sul marciapiede si sono trovate all'improvviso sotto una pioggia di fuoco. Fonti locali riferiscono che ci sono stati morti, e feriti. I negozi sono per lo più chiusi. Le strade quasi deserte. Ogni tanto passa un venditore con un carretto legato ad un asino. Offre frutta, verdura, cibi in scatola. Chi ha bisogno di fare acquisti, si avventura brevemente sul marciapiede, fa un acquisto frettoloso e rientra in casa. Nel magazzino, molto spesso, sono già stipate scorte di riso, di zucchero, di latte in polvere. "Il problema - dice la donna - è semmai l'acqua corrente, perché senza corrente elettrica le pompe installate sul tetto si bloccano". E nelle strade si vedono infatti persone con taniche, in cerca di fontane ancora in funzione. Accanto ai cibi di scorta ci sono anche valigette del pronto soccorso "perché - continua il racconto - se qualcuno di noi si ferisce in casa, senza comunicazioni non potremmo chiedere aiuto. Il primo intervento ricade su di noi".

Non lontano c'é Jabalia, il campo profughi con 80 mila abitanti, obiettivo dei raid dell'aviazione israeliana. Dopo l'attacco di ieri, oggi è stata bombardata la zona di Faluja. "Almeno 20 morti", secondo i servizi di soccorso. Nel centro di Jabalia la gente è ancora attonita per il bombardamento di martedì che ha distrutto almeno 40 abitazioni. La zona del mercato ortofrutticolo è devastata. In mezzo c'è un grande cratere all'interno del quale si scava con le mani con la speranza di trovare ancora vita tra le macerie. "L'unica grande ruspa che operava nel nord della Striscia - dicono i soccorritori - si è bloccata giorni fa, per mancanza di carburante. Le case erano di bassa qualità e si sono letteralmente sbriciolate. Facciamo quello che possiamo, con delle semplici pale".

Muhammad, un ingegnere di 38 anni che nell'attacco è rimasto ferito, dice di essere fuggito come molti dalla propria casa dopo l'esplosione della prima di sei bombe. Con lui c'erano 35 persone, che si sono salvate per un soffio: "Solo alcuni secondi dopo la casa è crollata". Ai bombardamenti sono seguite scene convulse con i feriti trasportati al vicino ospedale 'Indonesiano', dove hanno ricevuto una prima assistenza stesi sul pavimento in mancanza di letti. Allora è stato necessario trasferirli ad un'altra struttura, il al-Awda. Anche lì le squadre mediche hanno si sono trovante di fronte una massa di persone con urgente bisogno di assistenza. Oggi il ministero della sanità di Gaza ha confermato che a Jabalia ci sono stati almeno 50 morti. Ma sotto le macerie, dicono gli abitanti, resta un numero ancora imprecisato di dispersi.
   

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