All'inizio della salita del campo profughi di Nur Shams, sul finire della strada 57 che da Nablus porta a Tulkarem, dei ragazzi se la ridono di fronte a una pozzanghera dove le macchine sterzano per non affondare: in quella striscia mancante d'asfalto c'era un monumento ad Arafat, rimosso qualche giorno fa dai bulldozer dell'esercito israeliano. "Abbattono le statue per distruggere quelli che sarebbero i nostri eroi, ma noi non ne abbiamo", dicono.
Yahya Bishara, un giovane colto di 26 anni, frequentava invece l'ateneo qualche chilometro più avanti: è un agronomo ma non riesce ancora a dimostrarlo. Non può ritirare il certificato di laurea perché dal 7 ottobre la sede dell'università è stata chiusa e non si sa quando riaprirà. "È così perché da un mese sono scattate misure di sicurezza", dice alludendo ai tumulti nelle città della West Bank cresciuti dopo l'inizio della guerra a Gaza. Tulkarem, nell'area A teoricamente sotto il controllo dell'Autorità palestinese, è una città del centro nord popolata dalla classe media, fatta di agronomi e operai che lavorano nei vicini stabilimenti chimici e isolata ad ovest dai territori costieri di Israele, da cui confina con muri e check-point spesso chiusi.
Adesso uno dei modi per raggiungerla è passare da Hiworah, che è una città quasi fantasma: i negozi della strada principale sono tutti chiusi dal 7 ottobre, con i soldati che presidiano i magazzini vuoti, in attesa che possano riaprire dopo la fine delle costruzioni degli edifici dei coloni, costruiti a ridosso. "Le restrizioni sono ovunque - spiega Yahya - perché gli insediamenti israeliani aumentano, quindi per evitare rischi di attacchi vengono fatte chiudere le scuole e i bambini restano in strada. L'autorità palestinese deve assicurarci più libertà di movimento nei Territori, garantire risorse e bloccare i prezzi, basti pensare che il costo di un sacco di farina è quadruplicato. Intanto le tasse dovute da Israele all'Anp non vengono più erogate e gli stipendi pubblici non vengono pagati".
Nella Cisgiordania in cui mancano le elezioni dal 2006 Yhaya non ha mai votato e si astiene sulla politica. "Hamas? So soltanto che quanto è successo è una conseguenza di ciò che sta accadendo qui". Non risponde su chi voterebbe un domani, così come divagano i tanti commercianti rintanati per il temporale nelle botteghe intorno a piazza Thabet, dominata dai girarrosto di shawarma, bazar e negozi di abbigliamento: lo scenario consueto del centro delle città di questo territorio. Il campo profughi di Nur Shams, che assieme a quello di Jenin e Nablus chiude il triangolo a nord della cosiddetta resistenza armata palestinese, è praticamente contiguo alla città stessa, anzi geograficamente la introduce e si distingue solo per i suoi caseggiati decrepiti. "Quel campo lo consideriamo parte di Tulkarem - dice orgoglioso Yhaya - da lì i bambini che a nove anni terminano le scuole dell'Onu all'interno del campo potrebbero poi venire nei nostri istituti, se solo adesso fossero aperti. L'obiettivo sarebbe offrirgli qualcosa da fare invece di restare a casa o in giro".
A Nur Shams i più ricchi sono quelli che lavorano dagli sfasciacarrozze, che si notano per i cumuli di carcasse di auto lasciate sulle strade, molto spesso macchine rubate in Europa e cannibalizzate in Palestina per la rivendita in nero dei ricambi. Su alcune mura tra i palazzi antichi e malandati si intravedono scritte in verde che inneggiano al 'battaglione Jenin' o il disegno di un miliziano con kefiah e fucile, sopra la scritta 'disciplina del kalashnikov', oltre allo slogan 'i rivoluzionari sono il primo dei popoli liberi'. Poi ci sono i volantini neri che fanno riferimento ai giovani uccisi durante qualche scontro: gli ultimi solo la settimana scorsa, dove oltre ai bulldozer sono arrivati anche i soldati israeliani per un blitz in cui sono stati uccisi sei ragazzi, i cui volti finiranno probabilmente anch'essi attaccati ai muri. Davanti all'entrata della città di Tulkarem il tributo ad Arafat appena demolito non è l'unico a mancare. C'è la voragine allagata dalla pioggia battente, metafora di un vuoto che adesso si sta riempendo con il fango.
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