"La mia mente non riesce neppure a immaginare quello che Hamas sta facendo a Karina. Lei è una bella ragazza, ha solo 19 anni, sappiamo di tutte quelle donne violentate... ho il terrore di pensarci. Per me ogni giorno è il 7 ottobre, il sabato del massacro. Sarà un giorno diverso solo quando tutti gli ostaggi torneranno a casa sani e salvi".
Liza Shpoliansky è la cugina di Karina Ariev, 19 anni, soldatessa dell'unità di intelligence israeliana di stanza nella base militare del Border defense corps a Nahal Oz. Dove il 7 ottobre quindici donne soldato, che non avevano armi in dotazione perché analiste e non combattenti, sono state uccise, sette prese in ostaggio e una di loro, Noa Marciano, anche lei 19 anni, trovata senza vita a Gaza City, vicino all'ospedale al-Shifa.
La maggior parte dei militari che prestano servizio nell'unità di monitoraggio lungo il confine con Gaza sono donne, vengono definite "gli occhi dell'esercito" perché forniscono informazioni in tempo reale 24 ore su 24, sette giorni su sette: la loro missione è trasmettere l'allerta immediatamente se registrano operazioni sospette dentro la Striscia. Esattamente quello che ha fatto l'unità di Karina: ha avvertito di un imminente attacco di Hamas. La segnalazione purtroppo è stata ignorata, ha rivelato la tv israeliana Kan.
"Karina è la più giovane di noi cugine, è la baby cousin, so che il suo gruppo aveva lanciato l'allarme per movimenti insoliti a Gaza prima del 7 ottobre, 'sta succedendo qualcosa', aveva comunicato", racconta all'ANSA Liza, architetto di 26 anni, arrivata a Roma con un gruppo di parenti dei rapiti per incontrare il Papa mercoledì.
"Ora c'è un accordo per la liberazione di 50 ostaggi. Non so se Karina sarà liberata. Non so neanche se è viva", dice Liza. "L'ultima immagine che ho di lei è in un video postato da Hamas su Telegram la sera del 7 ottobre: lei è su una jeep dei terroristi, è ferita al viso, sanguina, vicina ad altre due soldatesse. Poi più niente", si dispera la giovane. Che torna indietro con i ricordi al giorno dell'assalto: "Karina ha telefonato alle 7 del mattino prima alla sorella Alexandra, piangeva disperata, diceva che la base militare era sotto attacco, colpita da una pioggia di razzi. I terroristi sparavano all'impazzata e stavano prendendo il controllo di Nahal Oz. Ha urlato che li amava e di prendersi cura di mamma e papà. Poi un'altra telefonata, con i genitori: ha detto loro di continuare le loro vite, era sicura che i miliziani stessero per ucciderla. Voleva dirgli addio". Alle 7.40 i parenti hanno perso ogni contatto. L'angoscia di Liza è doppia: che Karina sia stata uccisa come Noa, o che i terroristi l'abbiano usata per infliggere uno sfregio a Israele.
Il sentimento di impotenza di Liza e di tutti i parenti delle cento donne (due terzi sono minorenni) tenute prigioniere a Gaza è stato sintetizzato in un rapporto presentato al Comitato internazionale della Croce Rossa da un team medico che affianca le famiglie degli ostaggi: "La violenza sessuale può essere uno strumento di potere in guerra, le donne tenute in cattività corrono rischi unici. Il corpo della donna è considerato il simbolo del corpo della nazione, violare la donna significa violare l'intera nazione del nemico", ha dichiarato Ruth Halperin-Kaddari, studiosa di diritto dell'Università Bar Ilan e sostenitrice internazionale dei diritti delle donne.
"Lo so, se e quando Karina tornerà a casa non sarà la stessa persona con cui sono cresciuta. Lei è buona, gentile, con tanti progetti, come tutti i giovani", s'incupisce ancora di più Liza. "Cerco di immaginare il suo ritorno, un lungo viaggio, farle trovare un mucchio di regali. Ho tanto dolore, l'aspetto".
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