Nel sud della Striscia di Gaza è l'ora della speranza. Con le cuffie dei cellulari alle orecchie, le persone che passeggiano tra le strade di Khan Yunis sorridono mentre ascoltano gli ultimi aggiornamenti di al Jazeera sull'imminente cessate il fuoco. "Abbiamo sofferto abbastanza, forse è la fine della guerra", è l'auspicio di tutti. Il problema è che da Hamas, o meglio dalla leadership locale, non giungono informazioni, mentre le stazioni radio di Gaza, compresa al Aqsa di Hamas, tacciono da oltre un mese per mancanza di energia. In queste condizioni, non resta che aspettare la conferma di Israele e sperare.
La trepidazione nel sud della Striscia è forte perché da due giorni si sono interrotti tutti i contatti telefonici con il nord, teatro principale delle operazioni militari israeliane. Chi vorrebbe ricevere informazioni su familiari e amici brancola nel buio. Un importante centralino di Gaza è crollato, forse colpito da un bombardamento. Così in tanti oggi sono andati incontro al fiume umano di sfollati che arriva a Khan Yunis da su. "Cosa avete visto a Jabalya? Cosa succede a Sheikh Radwan?", hanno chiesto ai nuovi arrivati.
Se davvero entrasse in vigore il cessate il fuoco, forse le comunicazioni riprenderebbero. E sarebbe possibile sapere se le abitazioni degli sfollati, nel nord della Striscia, sono ancora in piedi. In tanti sognano ovviamente di tornare a casa, ma su questo le indiscrezioni che rimbalzano da Israele non consentono ottimismo: le truppe rimarranno nel nord durante la tregua e ai profughi non sarà consentito il ritorno.
"Da un cessate il fuoco mi aspetto almeno giornate di silenzio, di tranquillità", dice allora una signora egiziana che ha trascorso gli ultimi giorni a letto, sotto le coperte, terrorizzata dal continuo ronzio dei droni e dai bombardamenti che fanno tremare le pareti delle case, anche qui a sud. "Molte persone, in particolare gli anziani, hanno fatto come me, sono chiuse in casa da giorni. Se ci sarà una tregua usciranno per la prima volta da tempo a prendere una boccata d'aria".
Molti occhi sono puntati al valico di Rafah. "Abbiamo bisogno di almeno 200 camion al giorno di aiuti umanitari e di tanto combustibile", spiegano al municipio di Khan Yunis. Il mulino locale deve essere rimesso in funzione, così come l'impianto per la desalinizzazione dell'acqua marina e le pompe della rete fognaria. "Un cessate il fuoco - si sottolinea - consentirebbe alla gente di recuperare un minimo di serenità".
Nei capannelli per strada la tregua non è comunque vista per ora come un successo di Hamas. Specialmente se accostata alla cifra di oltre 14.000 palestinesi che sono rimasti uccisi in settimane di combattimenti. "Cosa può essere mai la liberazione di qualche centinaio di prigionieri di fronte ai 3.000 palestinesi che Israele ha arrestato in Cisgiordania e a Gaza dall'inizio di ottobre a oggi?", è la domanda ricorrente.
L'importante comunque, viene aggiunto, è "riportare la vita sui suoi binari. E far sì che il cessate il fuoco duri non solo qualche giorni ma che segni di fatto la fine di questa guerra, sicuramente la più drammatica della nostra vita".
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