Samer, Yotam, Alon. Sono questi i nomi dei tre giovani israeliani uccisi per un errore commesso dall'esercito dello Stato ebraico nell'applicazione delle regole di ingaggio. Avevano tutti e tre meno di trent'anni, probabilmente pensavano di essere riusciti a mettersi in salvo dopo essere scappati dalla prigionia nella quale Hamas li aveva rinchiusi da 7 ottobre. Erano a torso nudo, non è bastato sventolare un panno bianco o gridare aiuto in ebraico per essere riconosciuti come civili dalle Forze di difesa israeliane (Idf).
Yotam Haim aveva 28 anni e una grande passione per la musica, specie per la batteria. La suonava nel gruppo heavymetal Persephore: proprio con loro doveva esibirsi a Tel Aviv il 7 ottobre. Le foto diffuse sui social dalla sua band e da chi lo conosceva bene lo mostrano con lo sguardo sognante, mentre un paio di grandi cuffie bloccano i suoi capelli ricci e rossi. Si trovava nel kibbutz Kfar Aza quando è stato preso in ostaggio da Hamas. La famiglia lo aveva riconosciuto in un video. "Fratello mio, per favore torna da me, ti aspettiamo", aveva scritto il fratello Tuvi su Facebook. Con Yotam condivideva l'amore per la batteria: l'ultimo post pubblicato il 14 dicembre su Instagram dai Persephore invita tutti a partecipare a un concerto di raccolta fondi che avrebbe dovuto avere luogo il 21 dicembre. Il giorno dopo è arrivata la tragica notizia della sua morte.
Occhiali da vista, barba incolta e sorriso stampato, anche Alon Shamriz, 26 anni, è stato rapito a Kfar Aza. I familiari non hanno mai smesso di cercarlo, i suoi fratelli si sono presentati davanti al Congresso degli Stati Uniti per spingere le autorità a salvarlo. Alon amava i viaggi e lo sport, giocava a basket e un anno fa era tornato da un'esperienza in Sud America. Voleva continuare a lavorare nell'azienda di famiglia specializzata in imballaggi in legno, ma nel suo futuro c'era anche lo studio: aveva deciso di sedersi sui banchi del Sapir college per intraprendere la carriera da ingegnere. "Siamo un kibbutz che desidera la pace. Non tutti sono Yahya Sinwar" aveva detto all'inizio di questa settimana Avi Shamriz, padre di Alon, a Channel12. Ido, suo fratello, lo ha voluto ricordare con un messaggio su X: "Qui c'era la luce, ora c'è solo il buio. Alon, mio fratello, un eroe coraggioso".
Piangono gli amici e i familiari di Samer al-Talalka, l'ultimo dei tre giovani che ha perso la vita nella tragedia. Il 22enne ha ricevuto sabato l'ultimo saluto di chi gli voleva bene, durante i funerali che si sono svolti nella sua città natale, Hura, nel sud del Paese. "Non inizieremo a puntare il dito su chi è colpevole e chi no. Non è il momento", ha detto il cugino del ragazzo, Alaa, parlando commosso alla televisione, ma "questo è il momento di chiedere la fine della guerra". Samer era un ragazzo semplice, lavorava insieme al padre in un'azienda che produce uova facendo spesso e volentieri i turni del fine settimana, che gli imponevano di essere operativo già nelle prime ore del mattino. Proprio in un giorno come questo è stato rapito, il 7 ottobre, dal kibbutz di Nir Am. "Era un bravo ragazzo" ricorda chi lo ha conosciuto, voleva solo "guadagnarsi da vivere onestamente".
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