Nelle strade di Rafah, all'estremità sud di Gaza, fra le masse di sfollati, emergono sentimenti di ostilità verso Hamas. Chi dovrebbe assumere il controllo della Striscia all'indomani della guerra, se il presidente Abu Mazen oppure altre figure politiche, adesso importa relativamente. Su un punto tutti sembrano invece concordare: l'opposizione ad una prosecuzione del controllo di Hamas. "Quello che ci rende furiosi - dicono alcuni di loro all'ANSA - è che Hamas sembra avere un'elevata popolarità in Cisgiordania e nel mondo arabo... nessuno capisce perché a Gaza la gente ormai odia Hamas".
I danni provocati negli anni dalla fazione alla società e all'economia della Striscia, spiegano, sono innumerevoli. "Questa guerra però per noi è stata un elemento definitivo di rottura". Il paradosso tuttavia, a loro parere, è che dopo una lunga separazione fra Gaza (sotto Hamas) e la Cisgiordania (sotto al-Fatah) la divisione del popolo palestinese non si ricucirà nemmeno dopo il conflitto. "Se si svolgeranno elezioni - prevedono in molti - Hamas prevarrà in Cisgiordania e sarà sconfitto a Gaza, mentre al Fatah vincerà a Gaza per perdere invece in Cisgiordania".
"L'importante per noi - dice Mohammed Hijazi, un agricoltore di Rafah - è poter vivere una vita normale, senza più combattimenti, senza più l'isolamento della Striscia". Mohammed possiede appezzamenti di terra vicino a Khan Yunis, e vende le sue verdure sia nel mercato locale sia in Europa. Ma le tasse esose di Hamas lo hanno messo in difficoltà. Si sente penalizzato perché ha fama di non sostenere quel movimento. "Hamas - dice lui - ha distrutto Gaza, ha distrutto la nostra esistenza". Chi verrà al suo posto per Mohammed conta poco: "L'importante è che ci porti stabilità e sicurezza".
Ahmad Nassar, 52 anni, sfollato a Rafah da Jabalya, dice di aver perso molte speranze. "Il mio negozio di prodotti elettrici a Gaza City - racconta - è bruciato. La mia casa è stata distrutta. Non ho più niente". Saranno necessari decenni per ricostruire quanto è andato distrutto. In particolare nel nord della Striscia occorrerà rifare tutte le infrastrutture: le fognature, il sistema idrico, la rete elettrica, le strade, le scuole. "La mia sensazione - sostiene Ahmad - è che Israele, anche se non lo ammette in maniera esplicita, vuole che lasciamo Gaza".
Il futuro appare oscuro anche a Etaf Salama, 36 anni, madre di due bambine e tre maschi. Residente nel campo profughi di Khan Yunis, vestita secondo le regole conservatrici islamiche, pensa che se fosse costretta ad emigrare in Europa si sentirebbe spaesata. In passato sosteneva Hamas. Adesso dice che comunque vada vorrebbe restare a Gaza: "Non chiedo altro - precisa - che condurre una vita normale e stabile, senza essere mai più obbligata ad abbandonare la mia casa".
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