Una tenda improvvisata su un marciapiede, qualche tappeto e materassi per terra, ed anche un divisorio fatto da una coperta con le immagini di Tom e Jerry per dare ai bambini un tono meno desolante della loro nuova sistemazione alla periferia di Rafah, nell'estremità sud della Striscia. Questa la nuova 'casa-studio' del pittore Bassel Maqusi, 53 anni, costretto il 7 ottobre a lasciare in fretta e furia la propria abitazione e i propri pennelli a Beit Lahia, nel nord della Striscia. Da qui ora racconta, con schizzi in bianco e nero, la disperazione degli sfollati, disegnando la loro fuga dal nord della Striscia.
Con la moglie ed i figli - racconta all'ANSA - ha dovuto spostarsi in continuazione per sfuggire ai bombardamenti israeliani. Cinque rifugi diversi in tre mesi, fino al rione Tel Sultan di Rafah dove adesso ha montato la sua tenda. Ed i suoi quadri? "Purtroppo abbiamo lasciato la casa in gran fretta, nella convinzione che saremmo rientrati nel giro di qualche giorno. In parte sono ancora là ed in parte in una galleria di Gaza, la 'Esperti in sogni', condivisa con altri artisti".
Maqusi ignora se quegli edifici abbiano resistito ai bombardamenti: Beit Lahia risulta essere in gran parte in rovina e la galleria forse non esiste più perchè era nelle immediate vicinanze dell'ospedale Shifa: uno degli epicentri dei combattimenti fra Hamas e l'esercito israeliano.
Ridotto allo stato di profugo, Maqusi sente la mancanza dei colori (i suoi quadri erano famosi per le immagini sgargianti) e delle tele. Un pittore siriano con cittadinanza tedesca lo aveva avviato alla pittura. In anni passati era stato anche in Italia, ospite di amici artisti. A Gaza City aveva organizzato mostre anche se, afferma, con l'avvento di Hamas la cosa era divenuta sempre più complicata.
"Quella che stiamo vivendo è una catastrofe senza eguale.
All'inizio della guerra - ricorda - non riuscivo più a disegnare, anche per il fragore delle esplosioni". Solo un mese fa, quando è arrivato a Rafah, ha sentito che era di nuovo in grado di creare, anche per descrivere le scene impressionanti a cui aveva assistito. "Ho fatto allora il giro delle biblioteche.
Ho chiesto carta, matite, tutto quello che potevano darmi: noi artisti non abbiamo grandi mezzi. Mi hanno fatto pagare poco".
E da quel momento le mani sono tornate ad avventarsi sulla carta, per ora solo immagini in bianco e nero. Mostrano una coppia sperduta nella guerra, scene di devastazione, gli sfollati negli attendamenti. "Poi - aggiunge - ho pensato che potevo anche rendermi utile. Ad esempio per insegnare ai bambini a disegnare, per aiutarli ad esprimere quello che sentono, per superare le paure". Ogni giorno va nelle scuole alle otto di mattina e torna al pomeriggio. Quelle lezioni gli incutono la forza di superare le difficoltà. Nel tempo libero torna col pensiero alla casa di Beit Lahia: 'Mi manca molto il mio studio.Era molto ampio, pieno di colori, circondato da un giardino. La' sono rimasti i miei ricordi".
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