"Hamas? Mai più". E' il comune sentire fra gli sfollati accalcati a Rafah, costretti in quel confine con l'Egitto dai furiosi combattimenti in tutte quelle parti della striscia di Gaza in cui vivevano fino a poche settimane fa. Sono tanti, "i nuovi arrivati" sono ora oltre 1,3 milioni, spiega il sindaco della cittadina che contava circa 200 mila abitanti: sono stipati ovunque in tende di vario genere, da quelle più accoglienti e razionali regalate dal Qatar, a quelle più modeste ma sempre accettabili donate dall'Egitto, fino a poveri teli di plastica tenuti alla meglio da assi di legno dove di notte si gela.
"Quale futuro politico desideriamo?: Il nostro primo ed unico desiderio è avere da mangiare, trovare medicine, sopravvivere alla guerra. Poi si vedrà", ripetono in tanti mente tutti respingono, con toni perentori, ogni ipotesi o piano di trasferimento della popolazione di Gaza, come suggerito negli ultimi giorni da dirigenti di Israele. E sognano di tornare appena possibile nelle loro case, nei loro quartieri di origine.
Fra quanti si trovano dietro a un telo di plastica e qualche coperta c'è chi aveva fino a prima della guerra aveva un negozio di tappeti a Gaza, nel rione di Sheikh Radwan. Adesso quei tappeti sono un ricordo del passato e il suo unico desiderio è tornare nella sua bottega, nella sua casa. Anche se vi fosse una amministrazione militare israeliana, lascia intendere spiegando che, comunque, in caso di elezioni voterebbe al-Fatah. "In passato c'era che li riteneva corrotti, ma Hamas in 17 anni di governo ha saputo superarli di gran lunga", esclama sottolineando che "al momento non abbiamo leader che possano cambiare la situazione". E - aggiunge - una gestione di al-Fatah "potrebbe funzionare".
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