E' il Ramadan più difficile di sempre a Gaza. E per Rafah, nel sud della Striscia, ad un passo dall'Egitto, piena di sfollati, non è diverso. La gente lo dice: manca quasi tutto ma soprattutto la tregua in cui molti speravano. L'atmosfera non è quella del solito Ramadan: negli anni passati già una settimana prima fervevano i preparativi, le case si illuminavano di luci colorate, i negozi erano aperti tutta la notte. La gente comprava datteri secchi, dolci, bevande e saponi. Oggi non è così: a Rafah si vive nei rifugi o negli accampamenti di tende in condizioni durissime, lontani da casa e privi di elettricità, gas, carburante e normali cucine. E pesa il dolore per i familiari morti. Non ci sono decorazioni, i prodotti nei negozi costano 10 volte il prezzo normale, non ci sono dolci perché non si trova zucchero al mercato.
Una settimana fa, la società di telefonia mobile 'Oreedoo', una delle due società di comunicazione che lavorano nei Territori palestinesi, ha deciso di agire e decorare decine di tende nella zona occidentale di Rafah per rallegrare alcune famiglie. Ha distribuito luci e decorazioni colorate per i bambini: un'eccezione di cui però la gente non ha potuto godere per i raid aerei.
"Sembra tutto triste e brutto", dice all'ANSA il proprietario della panetteria sulla strada principale mentre prepara solo torte con formaggio per venderle a 3 shekel ciascuna. Prima della guerra preparava il 'Qatayef', il dolce principale che la gente mangia dopo la cena del Ramadan: oggi è introvabile. La gente - sottolineano in tanti - sta affrontando la peggiore sfida, quella della fame. La questione più problematica - denunciano - è che le persone nella zona meridionale della Striscia hanno parenti in quella settentrionale e a Gaza City, dove la situazione è ancora peggiore e si combatte per ottenere i pacchi di cibo lanciati dal cielo mentre si aspettano gli aiuti umanitari dal nord. E' una contraddizione che fa arrabbiare tutti. "Siamo già costretti a digiunare perché non abbiamo cibo, come possiamo digiunare durante il Ramadan?", dice al cronista Waleed Anter, 36 anni, padre di 3 figli, che vive in una tenda vicino al quartiere saudita occidentale di Rafah.
Durante la guerra non ci sono state autorità religiose locali a fornire istruzioni alla comunità: le persone - denunciano alcuni - sono state lasciate sole e hanno dovuto decidere in autonomia cosa fare e se possono digiunare o meno. Ma c'è anche un'altra questione che per Ramadan preoccupa la gente: "Se Israele e Hamas faranno una tregua, sarà consentito agli sfollati di tornare alle loro case e vivere in qualche modo in condizioni normali durante il Ramadan?".
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