Le automobili coperte dalla pietre e dai detriti, causati dall'esplosione del tritolo che sventrò l'autostrada e sullo sfondo i cartelli con le scritte Palermo Capaci, sotto i primi investigatori giunti sul posto che vagavano come fantasmi in una zona di guerra dopo un bombardamento. Un fermo immagine che conquistò 32 anni fa le prime pagine e le copertine di tutti i giornali del mondo. Era il l 23 maggio 1992, il tempo era grigio, piovigginava e faceva caldo. "Quello fu lo scatto iconico che mostrò all'intero pianeta cosa fosse stata capace di organizzare la mafia sulla A-29 quel dannato pomeriggio", ricorda Franco Lannino, 65 anni, il primo fotoreporter dell'ANSA giunto sul luogo della strage dove morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato e gli agenti di scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro e dove rimasero ferite 23 persone, fra le quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l'autista giudiziario Giuseppe Costanza. Arrivare lì, dove i boss mafiosi misero in atto quello che chiamarono "l'attentatuni" non fu facile. Una vera e propria odissea con una serie di ostacoli che Lannino ricorda "come se fosse oggi".
"Quel giorno ero all'inaugurazione della Fiera del Mediterraneo - racconta, carezzandosi la barba - Il giornale L'Ora aveva cessato le pubblicazioni, pochi giorni prima, il 9 maggio ed io, che ci avevo lavorato dal 1998, prendendo il posto di Letizia Battaglia, dovevo reinventarmi. Ad un tratto un poliziotto mi avvicinò e mi disse: 'Franco cosa fai ancora qui? Vai ad Isola delle Femmine, c'è stata un'esplosione sembra alla cementeria, pare ci siano dei morti'. Non me lo feci dire due volte, mollai tutto e scappai via. Ero in automobile, una della rare volte, perché in genere giravo in Vespa. Doveva essere un sabato tranquillo...".
"Come un fulmine mi diressi verso la circonvallazione per raggiungere l'autostrada in direzione Trapani. - prosegue - All'altezza di Tommaso Natale l'amara sorpresa, Un posto di blocco dei Vigili Urbani. Non si passa! Vidi e sentii le sirene di due ambulanze sfrecciare verso Palermo. Non sapevo cosa fare. Mi convinsi che a piedi sarei comunque arrivato. 'Che saranno cinque chilometri a piedi', mentre pensavo a questo, come in un film d'azione vidi un mio collega, il giornalista Franco Nuccio, allora giovane cronista dell'ANSA, che a bordo della sua motocicletta, una Guzzi modello California, si faceva strada per andare a Capaci. Sì Capaci, così uno degli agenti della municipale ci disse. Li' è saltato per aria un pezzo di autostrada. Un attentato ad un giudice e ad alcuni uomini di scorta. Le notizie diventavano sempre più precise. Saltai sulla moto dietro Franco e lo spronai a lasciare l'autostrada e a prendere la bretella laterale", rammenta ogni secondo di quelle ore Lannino. Parla come un fiume in piena. "Fu così che in pochi minuti arrivammo. Eravamo sotto il luogo dove i 500 chili di tritolo squassarono quelle due strisce di asfalto, creando una voragine gigantesca. Le auto sembravano bombardate. Già perché tutti noi che eravamo lì cercavamo mentalmente di capire cosa fosse successo. Chi credeva che fossero state sganciate delle bombe di aereo, chi pensava che fosse stata un auto imbottita di esplosivo. Pian piano la verità emerse. E comprendemmo che era stato un grossissimo ordigno seppellito sotto terra a creare l'inferno".
"La scena era da guerra, non puoi scordare quelle immagini e soprattutto quelle sensazioni - dice Lannino guardando nel vuoto - . C'era sgomento ma c'era anche adrenalina, c'era tristezza e c'era rabbia. 'E che ci hanno messo una bomba atomica?' Urlò un poliziotto. Scattavo velocemente con la mia Nikon Fm analogica come se il mio cervello fosse un computer". Frammenti di storia in bianco e nero, pellicola Ilford Hp5 "tirata a 1600" e a colori, con Kodak Jpm e diapositive pellicola Ektachrome 400, "quasi come una dea Calì, le mie mani afferravano le fotocamere e riprendevo. Ma non rimasi molto sul posto, perché dovevo inviare le foto", spiega Lannino.
"In quegli anni il digitale, gli smartphone e Whatsapp erano parole astratte - afferma - Quindi ritornai, a Palermo dietro allo scomodo sellino di un motorino, questa volta un piccolo "Ciao" della Piaggio di un ragazzino che mi diede un passaggio. Nel mio studio sviluppai i negativi, e feci le stampe. Poi andai trafelato, in via Emerico Amari, nella sede siciliana dell'ANSA, al quarto piano, ad infilare le istantanee ancora bagnate nell'apparecchio delle telefoto e trasmettere a tutti gli organi di stampa in abbonamento quell'immagine che il giorno dopo sarebbe stata sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo".
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